martedì 26 novembre 2013
(esca)-Prove tecniche: videomic Rode
Prova microfono della Rode, il videomic, dalle dimensioni maggiori rispetto il videomic pro, possiede comunque capacità eccezionali. Cattura l'audio in maniera eccellente, anche nella confusione, anche nel caos, l'audio della persona che parla verso il microfono, rimane limpido... a proposito di confusione, il video dimostrativo si basa su fatti realmente accaduti e su eventi del tutto quotidiani, in questo caso dove sia l'intervistato che il fonico non sono due professionisti del settore, riescono tuttavia a far comprendere le caratteristiche del videomic, un microfono da non farsi scappare.
regia e montaggio Iolanda La Carrubba
(esca)experimental video-poetry
experimental video-poetry di Iolanda La Carrubba
dalla poesia Giulietta ricordi?
(esca)Recensione- Museo Mazù
Filantropie artistiche nelle
soggettive fotografiche
Il fare umano, legato alla
percezione dell’adesso, del momento esatto in cui avviene una concentrazione di
esistenze, dove l’esistere è rappresentato appunto dal fare, padroneggia e
veicola un istintivo pensiero intuitivo. L’individuo in grado di percepire il
dato oggettivo, attraverso elementi quali lo spazio ed il tempo, possiede la
capacità di estraniarsi dall’oggettività, relegando a quel momento,
l’espressione soggettiva.
Il bello dunque appare mutevole e mutante, apparentemente proveniente
dall’esperienza del singolo, in termini kantiani, il bello è “ una normalità
senza norma”.
L’essere umano per sua natura, è
in grado di percepire l’estetica mediante l’attivazione di specifiche aree
celebrali, (V4 elabora i segnali dei colori, MT elabora i segnali del
movimento) questa percezione legata alla riflessione istintiva, consente di
esprimere un giudizio, quindi essere in grado di giudicare e rielaborare un
dato legato ad un atto, un’azione legata ad una rappresentazione dell’esistenza
umana, rappresenta per l’individuo, una forma altra del fare denominata arte.
L’arte intesa come fusione del
bello e del giudizio, contiene un intuito primigenio in grado di svilupparsi ed
evolversi attraverso fondamenti ancestrali, Schelling
nel Sistema della filosofia trascendentale scrive “s'intende di per sé che l'arte sia l'unico vero ed eterno organo e documento insieme
della filosofia, il quale sempre e con novità incessante attesta quel che la
filosofia non può rappresentare esternamente, cioè l'inconscio nell'operare e nel produrre, e la sua originaria identità
con il cosciente. Appunto perciò l'arte è per il filosofo quanto vi è di più
alto. »
L’inconscio collettivo genera una
qualche forma di energia, in grado di rappresentare nella complessa rete di
legami umani, la soggettività dell’esistere, Jung sostiene che “ la nostra
psiche è costituita in armonia con la struttura dell’universo e ciò che accade
nel macrocosmo, accade eugualmente negli infinitesimi e più soggetti recessi
dell’anima.”
Questo percorso attraversa l’esistere, suscitando la necessità di
ricerca mediante un processo elaborativo, l’uomo compie azione adoperando i sensi, infatti Matisse sosteneva che “ vedere è
già un’operazione creativa che richiede uno sforzo”.
Ad oggi, nel mondo
dell’ipertecnologia, della computerizzazione, della semplificazione degli
attrezzi per costruire e fare arte, la possibilità di espansione
dell’espressione artistica, produce e genera nuove ed interessanti evoluzioni.
Uno dei campi in cui si è potuto sperimentare maggiormente, è quello della
fotografia. Questa formula espressiva da un lato si ammala dell’eccesiva
quantità di chi è dietro l’obbiettivo, ma dall’altro lato permette di poter
godere di fotogrammi di vita istantanei, generosi ed in alcuni casi, là dove si
scatta la fotografia adoperando intelligenza artistica, vere e proprie fotografie
d’autore.
L’evento tenutosi lo scorso 27
ottobre presso la raccolta Manzù Ardea museo monotematico diretto da Marcella
Cossu, è stato un momento di forti legami artistici, dal cinema alla poesia,
dalla musica fino ad approdare alla pittura.
L’esposizione dei sei quadri olio
su tela “l’esaduadro” e “I cardinali di Manzù”
di Mario La Carrubba è stata testimone di incastri d’arte, di attimi
alti stratificatisi nel corso dell’inaugurazione partendo dall’emozione
dell’artista che dopo oltre 40 anni, torna in quei luoghi dove da studente,
vinse il secondo gran premio città di Ardea presso il museo, che gli venne
consegnato dallo stesso Giacomo Manzù.
Questa esperienza alta, sinestetica,
è stata documentata con bellissimi scatti fotografici, soggettive colte, che hanno
saputo cogliere e congelare attimi di estrema complicità, attimi colmi di
spirito filantropico.
Le fotografie così realizzate,
sono divenute tasselli di un unico e prezioso mosaico.
CHIARA MUTTI:
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ROBERTO GUGLIELMAN E TIZIANA MARINI:
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MAURO CORONA E MONICA MARTINELLI:
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nelle foto: chiara mutti, marcella cossù, mario la carrubba, sarah panatta, davide cortese, tiziana marini, iolanda la carrubba, lina morici, plinio perilli, amedeo morrone, nina maroccolo, monica martinelli, mauro corona, massimo pacetti,
(ESCA)Short - itine(Rari) per buongustai:
Non è detto che cibo debba essere
associato primariamente al gusto, ciò che si ingerisce è coscienza, salute,
nutrimento, sapore certo, il sapore della vita. Il filosofo Feuerbach asseriva
“Noi siamo quello che mangiamo”, dunque prima di compiacere il volere dello
stomaco, dovrebbe instillarsi l’intelligenza di comprendere cosa sia il cibo.
Legato a questo argomento esistono intolleranze ed allergie gravi come la
celiachia, l’allergia al nickel e così via. Il metabolismo deve essere tutelato
dall’assunzione di piccole o grandi quantità di veleni, nella categoria dei
veleni fanno parte, conservanti alimentari, edulcoranti chimici, lieviti,
farine di scarto etc.
A Roma vige una regola non
scritta, chiudere un occhio, o meglio foderarseli di prosciutto e tacere di
fronte l’assenza di genuinità e vice-versa, dimenticare di fare i complimenti
allo chef nel caso ci si trovi in luogo consacrato al cibo.
Ultimamente ho personalmente
avuto il dis-piacere di “nutrirmi” per così definire l’atto aerobico delle
mascelle, in luoghi che si autodefiniscono ristoranti. La parola chiave per un
buon ristorante è Qualità, qualità del servizio, qualità del prodotto, qualità
del cibo. I luoghi che ritengo abbiano l’assenza della parola chiave sono i seguenti,
ma voglio premettere che non sono uno chef, ma un semplice cliente, per tanto
non sono in grado di assegnare stelle, vorrei tuttavia simboleggiare la Qualità
regalando o togliendo fiori.
Di seguito l’elenco:
Ristorante Scarpone, via San
Pancrazio Roma: il servizio lento e scortese, le stoviglie logore, scarsa per
non dire, assente la qualità dei prodotti. Anche se il forno a legna è visibile
ai commensali, la pizza, che in una tavolata di 15 persone arriva con
intervalli di tempo di circa 20 minuti l’una dall’altra, ha una consistenza
povera, all’assaggio sembra di mangiare pancarrè, le verdure grigliate sono
acquose, prime di sapore. Il conto eccessivo. Muovendo critiche al
proprietario, lo stesso ha un atteggiamento scortese.
Ultima visita maggio 2012 - FIORI: 0
Ristorante Pizzeria Panattoni, Ai
marmi, viale Trastevere Roma: Vale l’attesa per sedersi, l’aroma di buon cibo invade
la strada, il servizio è rapido attento ad ogni dettaglio, gli ingredienti sono
genuini, gustosi. La pizza è una gioia per i sensi, né troppo sottile, né
troppo alta, cottura perfetta. I supplì hanno una impanatura di chicchi di riso
e sono veramente eccezionali. La cortesia del personale rende il tutto un clima
conviviale e allo stesso tempo professionale.
Ultima visita Settembre 2013 –
FIORI: 4
Ristorante La fantasia, Ardea: Il
servizio lento, assenza del menù sostituito dalla cameriera che a voce elenca qualche
ricetta. Le stoviglie discrete, le pietanze arrivano ad intervalli brevi ma
senza rispettare assolutamente l’ordinazione, la vitella non è vitella, i
pachino sostituiti da san marzano in barattolo, peggio ancora le uova sode
contenute nella pizza capricciosa, sono vecchie, dal tuorlo verde e maleodorante.
L’impasto della pizza è secco come fosse una fetta biscottata vecchia,
sicuramente si tratta di impasto congelato.
Ultima visita ottobre 2013 – FIORI:0
Ristorante Pizzeria Il vignola,
via vignola Roma : Il servizio rapido allegro, il menù semplice ben leggibile, i
prezzi discreti. La pizza è estremamente sottile e poco cotta al centro e
carbonizzata ai lati, le salsicce insipide come carne macinata di scarsa
qualità, le patate di contorno, vecchie stoppacciose e dal sapore sgradevole.
Dopo aver mosso qualche osservazione ai camerieri da allegri sono diventati
saccenti e sgarbati. Dal conto sono state levate le pizze criticate.
Ultima visita ottobre 2013 –
FIORI: 1
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(Esca)Racconto: 301, di Iago
301
Un’altra vacanza è terminata.
Visi di sguardi e profumi di terre diverse
incastonati nei ricordi.
Gli abitanti di questi posti non si rendono conto
del paradiso in cui vivono,
forse ognuno reputa “paradiso” qualsiasi luogo
distante almeno duecento chilometri
da casa propria.
Mi trovo sulla poppa di un traghetto.
Abbiamo appena terminato la cena nella sala buffet,
mia moglie non sta molto bene, soffre il mal di mare.
Il tempo di una sigaretta poi entriamo nella sala poltrone.
Parliamo di noi.
E' da tempo che non facevamo un viaggio insieme,
che buffo osservare come il tempo ci invecchia la pelle
mentre noi dedichiamo sempre meno attenzione
alle persone che più ci amano.
Lei ora dorme,
io non riesco ad apprezzare le carezze del sonno.
Decido di portare a spasso la mia irrequietezza,
salgo di una rampa per accedere al ponte.
Un uomo sulla cinquantina
tiene al guinzaglio un bell'esemplare di pastore tedesco,
mi avvicino con fare calmo
per evitare di innervosire l'animale
e chiedo: “E' un maschio vero?”
“Si ha otto anni. Si chiama Fabian, lo porto ovunque vado. I
miei amici dicono che il guinzaglio ormai è un prolungamento naturale del mio
braccio. Questo è il settimo viaggio che facciamo insieme”.
“ Bello” aggiungo “Io ne ho tre. L'ultimo è un trovatello”.
Lui mi interrompe subito:
“Non li ha mica lasciati in una di quelle case per cani,
vero?”
“No, no; c'è mio fratello con loro. Quando parto mi fa
sempre la cortesia di accudirli”.
“Ah, bene, bene, bravi”
mi fa lui compiaciuto,
poi mi saluta per scendere al bar.
Resto in compagnia del rumore del vento
pensando piacevolmente ai miei cani.
Cani, cane, un cane, il cane, amico fino alla fine; è la
fedeltà
il bene più grande che lui lascia quando muore.
Dall’inizio del viaggio
una domanda bussa spesso alla fragile porta della mia mente:
dov’è il capitano della nave? Fin da piccolo
mi ha sempre affascinato questa figura.
Me lo immaginavo con quella barba bianca,
la pelle segnata dalle tante traversate e l'immancabile
pipa;
il fatto curioso è che non ne ho ancora visto uno dal vivo.
Scruto tra i membri dell'equipaggio,
ma del probabile capitano nemmeno l’ombra.
Mi rassegno ormai all'idea,
quando alle mie spalle sento un ruvido richiamo:
“Giovanotto, mi raccomando con quel chewingum. Non lo getti
in mare”.
Infastidito rispondo:
“Può stare tranquillo. So come ci si comporta sia in mare
che sulla terra. Non è mio costume inquinare”.
Lui con agitazione aggiunge:
“Sarà, ma è meglio ricordarle certe cose ogni tanto”.
Lo fisso senza replicare.
Camicia chiara, pantaloncini, un paio di scarpe in tela.
Mi fa un cenno di saluto con il capo e sguscia via.
Non certo come la fantasia me lo aveva presentato,
però una persona atipica, ci tiene alla salute del mare,
questo oscuro maestro che noi identifichiamo
con una superficie increspata
o un bagno da fare per combattere l’afa.
Scendo dal ponte e mi dirigo verso prua
costeggiando la ringhiera di destra.
Prendo una pausa,
getto una pigra occhiata verso il basso,
sullo sfondo scuro, interrotto caoticamente
dallo spumeggiare bianco della pelle marina.
Mi sporgo per vedere meglio il contrasto,
una voce di donna da dietro mi allerta:
“Vuoi suicidarti eh?”
“No”, rispondo tiepidamente,
“il procedere della nave mi concilia la riflessione”.
“Ah, interessante” prosegue ironicamente lei,
“E a quale conclusione sei arrivato?”
“Al fatto che sono cresciuto” ribatto io,
“Quindi se ti chiedo di bere qualcosa con me giù al bar,
non ci sarà rischio che tu chieda permesso a tua moglie?”
“Come sai che sono sposato? Non porto neanche la fede?”
“Ti ho visto prima sul ponte con lei,
ho un notevole intuito per certe cose.
E’ dall’inizio del viaggio che ti ho notato;
sono sicura che non si tratta di un’amica né di una
fidanzata.
Siete una bella coppia e tu sei un bel tipo.
Mi piacerebbe avere la possibilità di verificarlo.
bada che non sono una di quelle donne
che si butta tra le coperte del primo che capita.
Sono single per scelta, a volte seguo l’istinto, altre no”.
Io incuriosito chiedo:
“Il tuo istinto dice che con me potresti passare dei bei
momenti?”
“Più o meno” continua lei, spostando una lingua di capelli
per far parlare anche lo sguardo.
Il suo è un invito che non riesco a rifiutare
non posso evitare di guardarla negli occhi,
così sicuri e sinceri, allo stesso tempo privi di luce,
come di chi ha scoperto a caro prezzo
che le cose belle durano poco.
Con decisione lei interrompe la mia riflessione:
“Hai mai tradito tua moglie?”
“No”, rispondo.
“E non hai mai neanche pensato di tradirla?”
“Si certo”.
“Vedi, è una vostra costante. Non avete il coraggio, perché
di sicuro le occasioni non mancano.”
Proseguo sulla sua linea, la discussione mi stimola: “Non è
una questione di coraggio, ma solo di scelta. Io sono un’infedele per natura,
consacrato alla fedeltà”.
“Ma che dici!” sopravanza lei,
“tu pensi di tradirla e poi scegli di starle accanto
amandola?
E’ paradossale!”
“No”
faccio io, con lo sguardo rivolto
alla costellazione dell’Orsa Maggiore,
“Pensare di uccidere non è come uccidere sul serio. Avere
molte donne potrebbe non essere un problema per me.
È difficile oggi restare fedeli,
specie in una società come la nostra
che ci porta ad essere insoddisfatti di ciò che abbiamo,
ma solo un idiota rischierebbe di perdere la donna che ama
per una pazza serata di sesso”.
Lei con fare sicuro continua:
“Come può una sola notte intaccare la vostra unione? Rimane
un discorso esterno alla coppia, una parentesi che si apre e si chiude nel breve
volgere di una notte. Io ti interesso lo vedo. Pensi forse che domani guarderai
tua moglie con occhi diversi? O che di colpo smetterai di amarla? Se è il vero
amore che vi unisce niente vi dividerà”.
Il gioco di luce dei suoi capelli mi diverte, proprio mentre
le dico:
“Cambierebbe il modo di guardarmi, il mondo è pieno di
uomini di cartapesta, parolieri disillusi che non hanno ideali da salvare, né
scelte da difendere. Tu mi attrai non lo nego, ma terrò fede alla mia scelta;
e non lo faccio per abitudine o per timore di non trovare di
meglio, il tempo guadagnato insieme a qualcuno sarà utile al tempo che verrà".
Questa mia affermazione la lascia interdetta poi con
dolcezza,
dopo aver fatto un passo verso di me sussurra:
“Ma l’ami davvero, allora?”
“Si”, proseguo, “ma non più con quell’amore che incendiava
l’aria. Il tempo migliora certi comportamenti cedendo il passo all’unione vera;
ed è mantenendo in equilibrio tale intesa che io alimento quella scelta. I
momenti difficili esistono per chiunque e superarli insieme con l’aiuto
reciproco è una grande conquista, che porta due persone a stabilire un percorso
fatto di complicità, amicizia, confidenza e sostegno. L’arrivo non deve
preoccupare, importante è il modo, la reciprocità che stabilisce un percorso, la
fine è solo una meta più lunga”
Lei con inconsueta tristezza aggiunge:
“Anche io ho provato, ma è andata male. Forse perché ho
avuto paura che un legame a lungo termine mi avrebbe condotto in una gabbia, e
quindi....”
“Te ne sei creata un’altra”, l’aiuto a finire la frase.
Segue un’ambigua pausa, ci fissiamo per qualche istante.
Siamo molto vicini.
Doso il tono della voce per dirle:
“La libertà esiste solo per gli animali, per loro essa non è
altro che vivere seguendo sensazioni, percezioni; noi siamo esseri pensanti,
elaboriamo e agiamo di conseguenza. Crediamo di volare liberi e sciolti da ogni
legame con gli schemi societari.
Ricerchiamo l’anticonformismo, sicuri di spiazzare o
sconcertare il prossimo con comportamenti squadrati ed invece entriamo solo in
una voliera più grande; è per questo che non saremo mai felici. Questo la vita
mi ha insegnato… fino ad ora”.
Lei abbassa lo sguardo e bisbiglia:
“Si chiama vita l’insieme di fatti che separa una cosa
stupenda da un’altra, ho fame d’amore e ne mangio solo il profumo.
“Vedi” ,faccio io,
“La pensiamo quasi allo stesso modo”.
Mi passa una mano sulla guancia
e prima di andare via mi propone un incontro
“Queste sono le chiavi della mia cabina, la 301. Non
chiuderò a chiave subito. Attenderò una mezz’ora, a te la scelta”.
Il viaggio è quasi giunto al termine e manca poco
all’attracco.
Passeggeri ed equipaggio sono pronti.
Io e mia moglie ci troviamo di nuovo sulla poppa alzo lo
sguardo e vedo il capitano.
Ma guarda.
Sotto l’uniforme c’è proprio il tale che mi aveva ripreso
prima.
Continuo a fissarlo accettando la sfida,
prendo dalla bocca il mio chewingum
faccio come per gettarlo in acqua.
Lui si scompone per un attimo,
poi ritrova la calma quando con piacevole constatazione
mi vede prendere un pezzo di carta,
metterci dentro il chewingum
e riporlo nella tasca.
Esattamente come lo immaginavo da piccolo.
Pipa, uniforme e barba bianca, riprova che la mente
rimanendo giovane sostiene l’età adulta,
approvando un cambiamento di vedute
senza intaccare lo spirito.
Mi sembra di capire che certe persone
siano nate proprio per incarnare determinate figure,
come il buon capitano
e come quella “strana” donna.
A proposito;
non sono andato nella sua cabina.
La mia scelta l’ho già fatta.
Di lei mi rimane un numero e... le sue paure.
[Estratto dalla raccolta di racconti FABIAN casa editrice
L’Erudita]
(Esca)Rubrica: Mohamed Malih
Ex-Stra: la rubrica di Mohamed Malih
2. Master Piece, si può "guardare" la scrittura in Tv?
2. Master Piece, si può "guardare" la scrittura in Tv?
Master Piece, il reality sulla scrittura, per fortuna non ha
niente a che vedere con la scrittura. Almeno per ora. La scrittura è qualcosa, come ha detto una
delle concorrenti, di privato, come fare la pipì.
Temevo che Masterpiece
finisse per banalizzare la scrittura, invece è successo solo che ha
ridicolizzato gli scrittori che vi hanno partecipato. Vedere degli scrittori
sottoporsi al tranciante sì o no della giuria è stato doloroso. Questi giudici
messì lì ad affermare o negare l'esistenza del talento! Come se il talento
fosse riducibile ad una sentenza di condanna o di assoluzione, all'essere bocciati o promossi. Come se il talento fosse
un merito.
Invece il talento è solo un dono; una grazia. Bisogna portarlo con
un certo imbarazzo e molta umiltà ed essere grati agli dei (o a chi per essi)
per averlo infuso proprio in noi. La scrittura è un gesto che prescinde dalla
fisicità del suo autore. Io scrivo, poi tu, se ne avrai voglia, in un secondo
tempo, mi leggerai. Chi gode del mio gesto non ha alcun bisogno della mia
presenza. Scrivere è perciò il gesto meno televisivo che ci possa essere. Se
proprio ci incaponiamo a volerlo vedere rischiamo di perderlo del tutto. Come è
successo a Psiche con Amore. Scrivere è un gesto segreto e tale deve rimanere.
Si può parlare di scrittura, possiamo far parlare gli autori, si può parlare di
libri, ma la scrittura, il gesto della scrittura è qualcosa di connaturato al
mistero. Fare un reality sulla scrittura è come fare un reality sul gesto di
passeggiare. Quale giuria mai sarà capace di dire che tizio passegia meglio di
Caio. Non è possibile. Scrivere come passeggiare è un gesto che si nutre del caso.
Il caso è quella cosa cosa per cui, mentre guardi la televisione, leggiucchi anche un pezzo su "II Sole 24 ore"
scritto da Sciascia e per qualche motivo ti colpisce il fatto che Sciascia citi
Frank Capra. Intanto su Masterpiece senti che uno dei concorrenti legge un suo
pezzo e, anche lui, nomina proprio Frank Capra. Perciò a me è andata bene: ho
guardato Masterpiece e ora mi ritrovo con Frank Capra. Il caso mi è stato
amico. E non ho nessuna intenzione di fozarlo. Alla prossima puntata di
Masterpiece io non ci sarò. Se volete, provateci voi. Buona fortuna.
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(Esca)Poesia: Sarah Panatta
Corpi estranei
(romacinefestival 2013 remix n.1)
di Sarah Panatta
L’odore del corridoio
(romacinefestival 2013 remix n.1)
di Sarah Panatta
è la pelle di un bambino che non sa
piangere
mentre trilla l’ansia telefonata
in una notte muta irrevocabile
Non formuliamo nessuna domanda, radiazioni
elastiche
fuggiamo, per inseguirci senza
vederci,
dondolio di desideri rotti.
Passi sotto un letto straniero, il
profumo ruvido
di una carezza prima intollerabile,
la geometria di un container
vuoto, il nostro rifugio d’ombre.
Impigliato atomo di verità
orma invisibile la tua pupilla,
nascosta
dietro lo schermo irretito di un
programma che
parla geme ama
senza saperti, ancora
Finché scoverà il tuo piacere e
teorizzerà un nuovo Noi
Nel domani presente che è sempre
stato ieri
Guidi l’automobile stanca della genia
minata,
minatori di un paesaggio oltre umano
che murato svanisce nella grana grigia del
Tempo che non c’è
Corpo senza Te
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(esca)Poesia: Plinio Perilli
La stella è pianto
rosa…
(a Mario La Carrubba:
nel commosso ricordo futuribile…
di ogni antica sesta vocale sempre
nuova e struggente, luce inebriata)
1 –
…La stella è pianto rosa… intonava, s’incantò
Rimbaud; ma oggi, Mario, qui Tu Piangi per
tutti i tuoi Colori – come fossero anni, imprese,
gioie o sconforti in mostra allo stesso modo:
tutti da accogliere in questa tavolozza concreta
che è la vita, mentre l’altra ideale la evochiamo
a parole, suffragando ricordi che premono da
dentro! – e uscendo fanno piangere, s’inventano
carezze, ali in pensiero, cromìe come turgori,
appuntamenti d’anima, sfumati fragili e assoluti…
2 –
Mario, romanzi anni, visi troppo lontani eppure
qui presenti – l’Accademia, Manzù, una visita
ad Àrdea, l’estemporanea di voi allievi devoti
ancora alle Belle Arti, alla Dea Pictūra – mentre
Sculptūra troneggiava egualmente assisa, sorrisa
nei ritratti di Inge, nelle pose eternate come retaggi
fuori del tempo, mentre convulso il Tempo impèra…
Era il ’65, nella Città Eterna dialogavano Fellini
e Flaiano, Moravia e la Morante… ma Pasolini già
ammoniva laico il Moderno di non tradire, ferire
le radici in religio, Mamma Roma o il Vangelo
che ci condanna e ci assolve – pentiti di benessere.
3 –
S’immola ogni poeta a corteggiare sua la A, la E,
battezzare una I, la O, la U a pantòne del Cielo,
costellazione minima e infinita!, quasi Cuore
del Mondo: lo stesso che è di tutti, pulsa in fondo
all’unìsono… Ma Mario piange perché i colori
cambiano, restano doni uguali solo nella Fabula,
Principato o Regno dell’Arte: mutano anzi sulla
rètina, i tessuti di dentro, che colgono il rimpianto
ed un travaglio ininterrotto di secoli: Esaquadro
ocra, vermiglio, viola, smeraldo, biacca e cobalto!
4 –
Come li attraversiamo?, se davvero riusciremo,
riuscimmo a far ponte dal vecchio verso il Nuovo,
il tramonto che muore/nasce ogni alba, e surreale
beffa il nero, ruba alla Stella il rosa per
uccidere,
obliare la notte, inciderle il ventre col cesareo taglio
che fa nascere, partorire dal buio ogni colore sanguinoso
di bianco, in un cielo che ci urge d’azzurro,
scava meglio
nei viola, nei marroni che dal blu elettrico
e dal rosso
s’inventano, giurano quasi un intero codice d’Amicizia,
fiero un Trattato sulla Tolleranza, postillato, luminoso
in giallo, e rilegato, scollinato ameno, verde
di primavera!|
5 –
Le stagioni incolori si compensano, obnubilate per
contrafforte d’emozioni, guizzo barocco d’esperienza…
Ora la Sesta Vocale per ciascuno è diversa, mentre
ogni destino sceglie e s’incarna propri i colori, il suo
tono esclusivo, confidato in sereno come un Credo
amoroso, od un messaggio riservato all’amata,
chiosato dall’amanuense che in segreto scrive, ri-
scrive solamente a Dio, dentro codici miniati… Rosso
diventa oro, e il buio argento!, mille notti
per pregare
la Luna, chiedere alle frecce di Diana di salvare Eros.
6 –
Lui riesce a dar colore a ogni bacio in passione –
questo cogliemmo da ragazzi, certo senza capirlo
lo sentimmo: ma l’Arte vera è ignota… soprattutto
a se stessa! Musa invocata che seduce, divina l’umano
sino a cieli indicibili, radiosità insondate… A
nera?
E bianca? I rossa? O blu? U
verde? – giochiamo coi colori
per profetare l’anima – la Storia/scimmia va da sé,
ma
forse può servire ricondurla in visita al periodo blu, a
un orizzonte rosa, come fece Picasso coi saltimbanchi,
gli arlecchini o i poveri quasi felici, meno tristi se
giunti in riva al mare – il mare da cui perla nasce
Amore.
7 –
Ad Àrdea giunse Enea per rifondare un popolo,
edificare la pace… Forse anche Giacomo, il Manzù,
arrivò qui divinato a restare, a concretare, riplasmare
creta come un poeta il linguaggio, i Cardinali la fede,
Giulia e Mileto l’infanzia, angioletti ridenti d’ogni
gioco...
Rotolano sempre e benedetti gli Amanti, stelle infiammate
nude a fecondarsi gli astri, un firmamento dove proprio
la Grande Storia, crocifissa è redenta, e
perfino una sedia,
un canestro di frutta ci assapora – e sazia la Redenzione.
8 –
Prendo la A di Amore come Sesta Vocale, e chiedo
all’Arte
d’avvolgere ancora e sempre nel suo bronzeo panneggio
il tremore d’un Cuore che, quando ama, a sua immagine
e somiglianza, scolpisce Quello Stesso di Dio – perde
il modello immenso, prospettico, mentre ritrova Luce,
qui ad Àrdea, come il pio Enea figlio d’umile Anchise
e di Venere sempre troppo bella! Riscopre pura la casa,
l’amore, il modellato, la Storia da seminare, rito di fiori
o
vocali cosparse in petali, baci/colori su di una tomba
bianca,
soglia d’Eterno e porta trasparente, marmo placato in Arte:
dove d’estate sonnecchiano i gatti, e anche il vento si
ferma,
si rammenta giovane,
nel
sole/specchio di Ripetta
– e piange…
Plinio Perilli
(Roma/Ardea,
“Museo Manzù”,
27
Ottobre 2013)
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