martedì 26 novembre 2013

(Esca)Racconto: 301, di Iago


301

Un’altra vacanza è terminata.

Visi di sguardi e profumi di terre diverse

incastonati nei ricordi.

Gli abitanti di questi posti non si rendono conto

del paradiso in cui vivono,

forse ognuno reputa “paradiso” qualsiasi luogo

distante almeno duecento chilometri

da casa propria.

Mi trovo sulla poppa di un traghetto.

Abbiamo appena terminato la cena nella sala buffet,

mia moglie non sta molto bene, soffre il mal di mare.

Il tempo di una sigaretta poi entriamo nella sala poltrone.

Parliamo di noi.

E' da tempo che non facevamo un viaggio insieme,

che buffo osservare come il tempo ci invecchia la pelle

mentre noi dedichiamo sempre meno attenzione

alle persone che più ci amano.

Lei ora dorme,

io non riesco ad apprezzare le carezze del sonno.

Decido di portare a spasso la mia irrequietezza,

salgo di una rampa per accedere al ponte.

Un uomo sulla cinquantina

tiene al guinzaglio un bell'esemplare di pastore tedesco,

mi avvicino con fare calmo

per evitare di innervosire l'animale

e chiedo: “E' un maschio vero?”

“Si ha otto anni. Si chiama Fabian, lo porto ovunque vado. I miei amici dicono che il guinzaglio ormai è un prolungamento naturale del mio braccio. Questo è il settimo viaggio che facciamo insieme”.

“ Bello” aggiungo “Io ne ho tre. L'ultimo è un trovatello”.

Lui mi interrompe subito:

“Non li ha mica lasciati in una di quelle case per cani, vero?”

“No, no; c'è mio fratello con loro. Quando parto mi fa sempre la cortesia di accudirli”.

“Ah, bene, bene, bravi”

mi fa lui compiaciuto,

poi mi saluta per scendere al bar.

Resto in compagnia del rumore del vento

pensando piacevolmente ai miei cani.

Cani, cane, un cane, il cane, amico fino alla fine; è la fedeltà

il bene più grande che lui lascia quando muore.

Dall’inizio del viaggio

una domanda bussa spesso alla fragile porta della mia mente:

dov’è il capitano della nave? Fin da piccolo

mi ha sempre affascinato questa figura.

Me lo immaginavo con quella barba bianca,

la pelle segnata dalle tante traversate e l'immancabile pipa;

il fatto curioso è che non ne ho ancora visto uno dal vivo.

Scruto tra i membri dell'equipaggio,

ma del probabile capitano nemmeno l’ombra.

Mi rassegno ormai all'idea,

quando alle mie spalle sento un ruvido richiamo:

“Giovanotto, mi raccomando con quel chewingum. Non lo getti in mare”.

Infastidito rispondo:

“Può stare tranquillo. So come ci si comporta sia in mare che sulla terra. Non è mio costume inquinare”.

Lui con agitazione aggiunge:

“Sarà, ma è meglio ricordarle certe cose ogni tanto”.

Lo fisso senza replicare.

Camicia chiara, pantaloncini, un paio di scarpe in tela.

Mi fa un cenno di saluto con il capo e sguscia via.

Non certo come la fantasia me lo aveva presentato,

però una persona atipica, ci tiene alla salute del mare,

questo oscuro maestro che noi identifichiamo

con una superficie increspata

o un bagno da fare per combattere l’afa.

Scendo dal ponte e mi dirigo verso prua

costeggiando la ringhiera di destra.

Prendo una pausa,

getto una pigra occhiata verso il basso,

sullo sfondo scuro, interrotto caoticamente

dallo spumeggiare bianco della pelle marina.

Mi sporgo per vedere meglio il contrasto,

una voce di donna da dietro mi allerta:

“Vuoi suicidarti eh?”

“No”, rispondo tiepidamente,

“il procedere della nave mi concilia la riflessione”.

“Ah, interessante” prosegue ironicamente lei,

“E a quale conclusione sei arrivato?”

“Al fatto che sono cresciuto” ribatto io,

“Quindi se ti chiedo di bere qualcosa con me giù al bar,

non ci sarà rischio che tu chieda permesso a tua moglie?”

“Come sai che sono sposato? Non porto neanche la fede?”

“Ti ho visto prima sul ponte con lei,

ho un notevole intuito per certe cose.

E’ dall’inizio del viaggio che ti ho notato;

sono sicura che non si tratta di un’amica né di una fidanzata.

Siete una bella coppia e tu sei un bel tipo.

Mi piacerebbe avere la possibilità di verificarlo.

bada che non sono una di quelle donne

che si butta tra le coperte del primo che capita.

Sono single per scelta, a volte seguo l’istinto, altre no”.

Io incuriosito chiedo:

“Il tuo istinto dice che con me potresti passare dei bei momenti?”

“Più o meno” continua lei, spostando una lingua di capelli

per far parlare anche lo sguardo.

Il suo è un invito che non riesco a rifiutare

non posso evitare di guardarla negli occhi,

così sicuri e sinceri, allo stesso tempo privi di luce,

come di chi ha scoperto a caro prezzo

che le cose belle durano poco.

Con decisione lei interrompe la mia riflessione:

“Hai mai tradito tua moglie?”

“No”, rispondo.

“E non hai mai neanche pensato di tradirla?”

“Si certo”.

“Vedi, è una vostra costante. Non avete il coraggio, perché di sicuro le occasioni non mancano.”

Proseguo sulla sua linea, la discussione mi stimola: “Non è una questione di coraggio, ma solo di scelta. Io sono un’infedele per natura, consacrato alla fedeltà”.

“Ma che dici!” sopravanza lei,

“tu pensi di tradirla e poi scegli di starle accanto amandola?

E’ paradossale!”

“No”

faccio io, con lo sguardo rivolto

alla costellazione dell’Orsa Maggiore,

“Pensare di uccidere non è come uccidere sul serio. Avere molte donne potrebbe non essere un problema per me.

È difficile oggi restare fedeli,

specie in una società come la nostra

che ci porta ad essere insoddisfatti di ciò che abbiamo,

ma solo un idiota rischierebbe di perdere la donna che ama

per una pazza serata di sesso”.

Lei con fare sicuro continua:

“Come può una sola notte intaccare la vostra unione? Rimane un discorso esterno alla coppia, una parentesi che si apre e si chiude nel breve volgere di una notte. Io ti interesso lo vedo. Pensi forse che domani guarderai tua moglie con occhi diversi? O che di colpo smetterai di amarla? Se è il vero amore che vi unisce niente vi dividerà”.

Il gioco di luce dei suoi capelli mi diverte, proprio mentre le dico:

“Cambierebbe il modo di guardarmi, il mondo è pieno di uomini di cartapesta, parolieri disillusi che non hanno ideali da salvare, né scelte da difendere. Tu mi attrai non lo nego, ma terrò fede alla mia scelta;

e non lo faccio per abitudine o per timore di non trovare di meglio, il tempo guadagnato insieme a qualcuno sarà utile al tempo che verrà".

Questa mia affermazione la lascia interdetta poi con dolcezza,

dopo aver fatto un passo verso di me sussurra:

“Ma l’ami davvero, allora?”

“Si”, proseguo, “ma non più con quell’amore che incendiava l’aria. Il tempo migliora certi comportamenti cedendo il passo all’unione vera; ed è mantenendo in equilibrio tale intesa che io alimento quella scelta. I momenti difficili esistono per chiunque e superarli insieme con l’aiuto reciproco è una grande conquista, che porta due persone a stabilire un percorso fatto di complicità, amicizia, confidenza e sostegno. L’arrivo non deve preoccupare, importante è il modo, la reciprocità che stabilisce un percorso, la fine è solo una meta più lunga”

Lei con inconsueta tristezza aggiunge:

“Anche io ho provato, ma è andata male. Forse perché ho avuto paura che un legame a lungo termine mi avrebbe condotto in una gabbia, e quindi....”

“Te ne sei creata un’altra”, l’aiuto a finire la frase.

Segue un’ambigua pausa, ci fissiamo per qualche istante.

Siamo molto vicini.

Doso il tono della voce per dirle:

“La libertà esiste solo per gli animali, per loro essa non è altro che vivere seguendo sensazioni, percezioni; noi siamo esseri pensanti, elaboriamo e agiamo di conseguenza. Crediamo di volare liberi e sciolti da ogni legame con gli schemi societari.

Ricerchiamo l’anticonformismo, sicuri di spiazzare o sconcertare il prossimo con comportamenti squadrati ed invece entriamo solo in una voliera più grande; è per questo che non saremo mai felici. Questo la vita mi ha insegnato… fino ad ora”.

Lei abbassa lo sguardo e bisbiglia:

“Si chiama vita l’insieme di fatti che separa una cosa stupenda da un’altra, ho fame d’amore e ne mangio solo il profumo.

“Vedi” ,faccio io,

“La pensiamo quasi allo stesso modo”.

Mi passa una mano sulla guancia

e prima di andare via mi propone un incontro

“Queste sono le chiavi della mia cabina, la 301. Non chiuderò a chiave subito. Attenderò una mezz’ora, a te la scelta”.

Il viaggio è quasi giunto al termine e manca poco all’attracco.

Passeggeri ed equipaggio sono pronti.

Io e mia moglie ci troviamo di nuovo sulla poppa alzo lo sguardo e vedo il capitano.

Ma guarda.

Sotto l’uniforme c’è proprio il tale che mi aveva ripreso prima.

Continuo a fissarlo accettando la sfida,

prendo dalla bocca il mio chewingum

faccio come per gettarlo in acqua.

Lui si scompone per un attimo,

poi ritrova la calma quando con piacevole constatazione

mi vede prendere un pezzo di carta,

metterci dentro il chewingum

e riporlo nella tasca.

Esattamente come lo immaginavo da piccolo.

Pipa, uniforme e barba bianca, riprova che la mente

rimanendo giovane sostiene l’età adulta,

approvando un cambiamento di vedute

senza intaccare lo spirito.

Mi sembra di capire che certe persone

siano nate proprio per incarnare determinate figure,

come il buon capitano

e come quella “strana” donna.

A proposito;

non sono andato nella sua cabina.

La mia scelta l’ho già fatta.

Di lei mi rimane un numero e... le sue paure.

[Estratto dalla raccolta di racconti FABIAN casa editrice L’Erudita]

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