Ex-Stra: la rubrica del blogger Mohamed Malih
1. Il “cordone” di Lampedusa
Ho un’immagine, a proposito dei tanti
naufraghi di questi giorni, che credo mi accompagnerà ancora a lungo,
riaffiorando ogni volta che leggerò, scriverò o sentirò parlare di immigrati.
L’immagine è quella di un cordone ombelicale che fluttua in qualche profondità acquosa
del mare di Sicilia.
È questa l’immagine che la mia mente
ha scelto di serbare dai tanti racconti succedutesi questi giorni e che parlano
dei recuperi dei cadaveri causati dal naufragio avvenuto il 4 ottobre alle
porte di Lampedusa. Fra i tanti morti senza nome e senza storia e il cui
numero, mentre scrivo, è arrivato a 339, si è data anche la notizia del
recupero di una mamma e del suo neonato ancora legati dal cordone ombelicale.
Penso a quella piccola creatura che è passata direttamente dal liquido
amniotico all’acqua del mare. Penso a quella mamma, alla vita e alla morte che
diventano un tutt’uno con l’acqua. Penso che non è ancora finita la conta dei
corpi da recuperare e già si ha notizia di un altro naufragio. Ma son tutti
pensieri subacquei, senza audio e con l’immagine del cordone ombelicale che
continua a fluttuare. Quest’immagine in qualche modo che non so spiegarmi mi rasserena.
Sarà che il cordone ombelicale è un potente simbolo di vita, a cui la mia mente
si aggrappa per non vedere in quel lembo di mare che separa l’africa
dall’Europa solo un cimitero. Non un cimitero quindi ma un cordone ombelicale,
che lega la tragedia alla speranza.
Accanto a quest’immagine, un solo
suono, di tanto in tanto, riecheggia minaccioso. Ed è il suono che formano
questi due nomi messi assieme: Bossi-Fini. È una questione d’istinto. Si
possono fare tutti i distinguo del caso ma così come visceralmente l’immagine
del cordone ombelicale mi rasserena, il suono “Bossi-Fini” mi incupisce, mi
preoccupa, lo lego alla sorte dei morti naufragati. Che poi se ci penso, non è
un semplice suono: Bossi e Fini. Sono i nomi di due politici in carne ed ossa.
E saranno per sempre, al di à delle effettive responsabilità, legati
indissolubilmente a queste tragedie del mare.
Quando in televisione o sui giornali
vedo chi ancora si ostina a difendere le ragioni della Bossi-Fini non solo penso
a come sia forte l’istinto alla vita, ma anche alla potenza dell’istinto di
morte. C’è vita che dall’Africa e da altri posti del mondo cerca vita ed è obbligata
a transitare dal canale di Sicilia. C’è chi per quanto è possibile aiuta questa
vita a non morire. E c’è chi è completamente indifferente se non ostile. La mia
povera mente ha riassunto tutto ciò con, da una parte, l’immagine del cordone
ombelicale che mi rasserena, e dall’altra, col suono sinistro che fanno messi
insieme i nomi Bossi – Fini. La mia mente, lo confesso, non è granché come
regista. Di tutta questa storia di morti annegati ha tratto un pessimo film.
Nei film dozzinali però i buoni hanno sempre la meglio sui Bossi-Fini. Vedremo
come andrà a finire. Intanto si continua a morire nel canale di Sicilia. E
all’orizzonte non si intravede la scritta The End.
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