lunedì 25 novembre 2013

Vacancy: al Festival con Sarah Panatta


Vacancy. TIR e il docu-festival
La tendenza del nuovo cinema verità al RFF13, tumultuosa kermesse melting-pot
 
di Sarah Panatta

 
Lui. Anzi ,lei. Straniamento e disconnessioni multimediali. Il tuo volto è al di là dello schermo o della cornetta, ansimante, frenetico, teso, eppure impassibilmente distaccato, fittizio, distante. Le relazioni sono coiti verbo-sonori che evaporano in un sussurro come in un bip, lettere fasulle dettate ad uno specchio invertebrato, sentimenti sintetizzati da algoritmi ultra umani.

Il festival che ha raccontato, bene o male, nell’implosione semi-autoriale o semi-seria(le) del suo programma, l’incomunicabilità. Ibsen rivede Freud che rilancia Ballard e sputa Jonze, quando la combinazione è particolarmente fortunata.

Una rapida carrellata ai titoli vincitori sfodera l’insieme mercantile ma prestigioso, la miscellanea presuntuosa e sfavillante e insieme goffa della VIII edizione del Festival Internazionale del Film di Roma.

Il docufilm maturato su strada, in anni di lavoro vissuto sotto pelle. James Gray e compagnia giudicante hanno scelto di seguire la linea inaugurata da Venezia 2013, premiando il pur onestissimo lungometraggio di Alberto Fasulo (già Premio Solinas), l’ottimamente interpretato Tir. Opera non eclatante ma tenace e conclusiva nella sua sospensione simbolica e nel limpido messaggio visivo. Un uomo, attore-conducente, e la sua vita fatta di orari e stipendi precari, di diritti saltati, di rapporti familiari telefonati e sensi di colpa. La regia macina chilometri con il suo piano fisso e fluviale, mentre la scrittura oblitera narrazioni “off” lasciando spazio al silenzio della solitudine e delle impercettibili deviazioni dell’anima.

Gli altri premi spartiti tra le autorialità più “distribuibili” ma senza le provocazioni dello scorso anno. Forse rispondendo alla già provocatoria selezione del festival in sé, sempre più melting pot e indeciso tra festa filo-occidentale e banalizzazioni esterofile tout court.

Consolatorio ma sempre rilevante nonché smerciabile il premio alla migliore attrice, alla sexy modulata voce della Scarlett Johansonn/OS1 del meraviglioso Her (Spike Jonze prevedibilmente ignorato, ma vincitore morale altrettanto prevedibile). Miglior attore lo scavato, dimesso, combattente Mattew McConaughey del civile e rigoroso Dallas Buyers Club (applauditissimo empatico film Premio del Pubblico BNL, e Premio Farfalla Agiscuola).

Celebrato dal premio per attori emergenti tutto il cast dell’iraniano didascalico Gass (Acrid), mentre va al contestato speculativo turco I Am not him (Tayfun Pirselimoglu) il premio alla miglior sceneggiatura. Menzione speciale al cinese Blue sky bones.

Da ricordare nella torma degli oltre 160 titoli visti, svisti, non più vedibili, il Miglior film sezione CinemaXXI, Nepal Forever di Aliona Polunina. Premio Prospettive Italia Doc al miglior documentario Dal profondo, di Valentina Pedicini, sui minatori, uomini e donne, “lunga notte senza fine” e senza tempo che sia agganciato ad uno spazio confortevole e vivibile e dignitosamente umano.

Carlo Freccero e i sodali della Giuria per la migliore Opera Prima/Seconda privilegiano l’americano monocromatico e statico, ma vibrante di attorialità irrisolta, Out of the furnace, di Scott Cooper.

Per la sezione collaterale, fest nel fest, “Alice nella Città”, vince l’apprezzato The disciple. Menzione speciale a Heart of a lion di Dome Karukoski.

Tra i collaterali da ricordare il Premio al miglior montaggio di Johannes Hiroshi Nakajiama per Tir (una sfida per riflettere, visto l’accatastamento di piani sequenza del film). Miglior Trucco a La luna su Torino. Premio Maurizio Poggi per il Miglior Documentario al denso The Stone River di Giovanni Donfrancesco.

 

Nessun commento:

Posta un commento