Vacancy.
TIR e il docu-festival
La tendenza del nuovo cinema verità al RFF13, tumultuosa kermesse melting-pot
di Sarah Panatta
Lui. Anzi ,lei. Straniamento e disconnessioni
multimediali. Il tuo volto è al di là dello schermo o della cornetta, ansimante,
frenetico, teso, eppure impassibilmente distaccato, fittizio, distante. Le relazioni
sono coiti verbo-sonori che evaporano in un sussurro come in un bip, lettere
fasulle dettate ad uno specchio invertebrato, sentimenti sintetizzati da
algoritmi ultra umani.
Il festival che ha raccontato, bene o
male, nell’implosione semi-autoriale o semi-seria(le) del suo programma, l’incomunicabilità.
Ibsen rivede Freud che rilancia Ballard e sputa Jonze, quando la combinazione è
particolarmente fortunata.
Una rapida carrellata ai titoli
vincitori sfodera l’insieme mercantile ma prestigioso, la miscellanea
presuntuosa e sfavillante e insieme goffa della VIII edizione del Festival
Internazionale del Film di Roma.
Il docufilm maturato su strada, in anni
di lavoro vissuto sotto pelle. James Gray e compagnia giudicante hanno scelto
di seguire la linea inaugurata da Venezia 2013, premiando il pur onestissimo
lungometraggio di Alberto Fasulo (già Premio Solinas), l’ottimamente interpretato
Tir. Opera non eclatante ma tenace e
conclusiva nella sua sospensione simbolica e nel limpido messaggio visivo. Un
uomo, attore-conducente, e la sua vita fatta di orari e stipendi precari, di
diritti saltati, di rapporti familiari telefonati e sensi di colpa. La regia
macina chilometri con il suo piano fisso e fluviale, mentre la scrittura
oblitera narrazioni “off” lasciando spazio al silenzio della solitudine e delle
impercettibili deviazioni dell’anima.
Gli altri premi spartiti tra le
autorialità più “distribuibili” ma senza le provocazioni dello scorso anno.
Forse rispondendo alla già provocatoria selezione del festival in sé, sempre
più melting pot e indeciso tra festa filo-occidentale e banalizzazioni
esterofile tout court.
Consolatorio ma sempre rilevante nonché
smerciabile il premio alla migliore attrice, alla sexy modulata voce della
Scarlett Johansonn/OS1 del meraviglioso Her
(Spike Jonze prevedibilmente ignorato, ma vincitore morale altrettanto
prevedibile). Miglior attore lo scavato, dimesso, combattente Mattew
McConaughey del civile e rigoroso Dallas
Buyers Club (applauditissimo empatico film Premio del Pubblico BNL, e
Premio Farfalla Agiscuola).
Celebrato dal premio per attori
emergenti tutto il cast dell’iraniano didascalico Gass (Acrid), mentre va
al contestato speculativo turco I Am not
him (Tayfun Pirselimoglu) il premio alla miglior sceneggiatura. Menzione
speciale al cinese Blue sky bones.
Da ricordare nella torma degli oltre
160 titoli visti, svisti, non più vedibili, il Miglior film sezione CinemaXXI, Nepal Forever di Aliona Polunina. Premio
Prospettive Italia Doc al miglior documentario Dal profondo, di Valentina Pedicini, sui minatori, uomini e donne,
“lunga notte senza fine” e senza tempo che sia agganciato ad uno spazio
confortevole e vivibile e dignitosamente umano.
Carlo Freccero e i sodali della Giuria
per la migliore Opera Prima/Seconda privilegiano l’americano monocromatico e
statico, ma vibrante di attorialità irrisolta, Out of the furnace, di Scott Cooper.
Per la sezione collaterale, fest nel
fest, “Alice nella Città”, vince l’apprezzato The disciple. Menzione speciale a Heart of a lion di Dome Karukoski.
Tra i collaterali da ricordare il
Premio al miglior montaggio di Johannes Hiroshi Nakajiama per Tir (una sfida per riflettere, visto
l’accatastamento di piani sequenza del film). Miglior Trucco a La luna su Torino. Premio Maurizio Poggi
per il Miglior Documentario al denso The
Stone River di Giovanni Donfrancesco.
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