mercoledì 1 maggio 2013

(esca)RECENSIONE: Domenico Donatone

Giovanna Bemporad (1928-2013): in memoriam.
di Domenico Donatone

Come spesso accade i poeti si scoprono quando muoiono. È la legge del tempo. La legge che rende misteriosa la scoperta di un talento. È come se la vita fosse nemica della poesia, la nascondesse agli sguardi invece di offrirla al piacere della condivisione. Un nascondimentoche dura un’esistenza. Più il poeta vive, più la vita lo rende ostile ai suoi versi. Sei morto poeta? E io ti scopro! Ti scopro perché sono feroce e distante, perchécondivido la poesia in quanto espressione statistica. Il gran numero di scrittori costringe il critico a diventare un notaio. Se nessun criticos’interessadel poeta in vita, chi lo fa quando muore è sempre quello stronzo del critico. Sono certo a questo punto di esserlo anch’io. Cosa, un critico? No, uno stronzo! Si, perché c’è qualcosa che continua a ronzarmi nella testa senza soluzione di continuità, ed è affermare che il critico è uno che approfitta del lavoro altrui. Ebbene, stavolta mi autocritico perché conoscevo Giovanna Bemporad solo in astratto. A dire il vero una volta la vidi anche in televisione, ma non mi piacque la compagnia. Era con Vittorio Sgarbi a fare una specie di anti-Sanremo, perché a Vittorio, che doveva curare la parte critica del dopofestival, non andava giù che non lo pagassero in quanto parlamentare. Ah, a lui non andava giù! Beh, a me tornava su tutto, anche la cosa che meglio sa fare che èscrivere di arte. Quando vidi Giovanna Bemporad in quello strano salotto pensai subito: “ma una poetessa non ha mica bisogno di Sgarbi per declamarei suoi versi!”. E invece, abracadabra, si ha sempre bisogno di uno Sgarbi. Anzi, di molti sgarbi per dare senso alla poesia. Tanto più sono i torti che la poesia riceve, tanto più essa risplende. Così stavolta sono io che mi distendo, che provo a fare il morto. Dico,con ammissione di responsabilità, che il poeta che si scopre dopo la sua dipartita bisogna sul serio risarcirlo, perché non si può consentire che la distrazione prevalga su tutto.
Giovanna Bemporad era nataa Ferrara nel 1928 da una famiglia di origine ebraica.Nella sua persona portava, insieme a un certo anticonformismo di atteggiamenti che la avvicinavano psicologicamente a Pasolini, la propria competenza nel campo delle letterature classiche. Aveva realizzato, ancora adolescente, una traduzione in endecasillabi dell’Eneide di Virgilio.In seguito si dedicherà alla traduzione, sempre in endecasillabi, dell’Odissea di Omero. Un’esperienza, questa, di traduttrice dell’Odissea, che la impegnerà per molti decenni. Il poeta Giovanni Raboni ebbe modo di definirlo un lavoro “di infinito perfezionamento ritmico e sonoro, teso a restituire all’endecasillabo il suo diritto a esistere nella poesia del Novecento con una pronuncia originale e moderna[i]”. Giovanna Bemporad aveva il tocco della magia. Sapeva scrivere come fosse la prima volta, con un tratto di leggerezza e acume che si concede oggigiorno solo a poeti che, a torto, si ritengono perduti. Perduti in un linguaggio che, non facendo della commistione il suo codice, non ha peso, non ha valore. Invece è in questa poesia, lirica, melica e soggettiva, che tende al semplice e non al complicato, che spesso si trova motivo di sostanza, perché è più difficile centrare l’obiettivo, e Giovanna Bemporad l’ha centrato. Ecco unasua poesia: «Mentre l’ultimo raggio rosseggiante | muore sui vetri, perché vivo ancora | mi chiedo, se il mio cibo è l’amarezza | e il cuore che educavano alla gioia | non batte ormai se non per tenerezzadi primavere, estati e dolci autunni, | ma per gioia non più? Dalla finestra | della mia stanza spio nel plenilunio | fino all’alba a fissarmi il cimitero. | Con gli occhi che già nuotano nel sonno | mi chiedo con un brivido: chi sono? | Chi, per la colpa che scontai nascendo, | dal buio nulla a un attimo di luce | destinò questo corpo, amato corpo, | l’oggetto che dai morti mi difende, | per poi ridurlo in polvere? Risponde | all’incauta domanda il vuoto immenso | e va per la malinconia del cielo | che si annera insensibile la luna.||[ii]»
A questo punto emerge che Giovanna Bemporad è viva e noi siamo morti. Morti almeno finché saremo in vita in mezzo a gente che ci abbraccia e ci tocca, e, sotto sotto,ci rovista con la scusa dell’affetto profondo. Si può conoscere la verità della vita solo attraverso rapporti di dedizione. La poesia di Giovanna Bemporad evoca queste reazioni, suggerisce che il percorso esistenziale ha una velocità tale da rendere la pausa, il momento, l’attimo e l’infrazione una richiesta continua di coraggio. È l’umana verità dentro l’umanissimo voltodella poesia che Bemporad traduce con quel tratto di semplicità pronto a farsi carico della propria natura divisiva. Il futuro coi suoi linguaggi corre veloce; Giovanna, invece, andava lenta, era piena di attenzione. Spentasi il 6 gennaio 2013, dopo aver profuso il suo impegno nella traduzione e nella poesia, Giovanna Bemporad  aveva capito che il modo per cogliere l’essenza della poesia stanella ricerca costante di se stessi su grandi temi, su grandi esempi. Perché tutto deve giungere al semplice, ad una verità che non si contraddice.





[i]http://giovannabemporad.blogspot.it/
[ii]http://giovannabemporad.blogspot.it/

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