mercoledì 1 maggio 2013

(ESCA) intervista: Iolanda La Carrubba



Concorso “Caro bastardo, ti scrivo. Storie di male e di miele (con variazioni sul tema)” prima edizione. Da dove nasce il tema?
L’idea è nata un paio di anni fa, sulla scorta della mia esperienza personale: un ennesimo episodio di scorrettezza e la frustrazione conseguente mi fecero riflettere sull’importanza, per l’autostima, della possibilità di replica rispetto alle proprie ragioni, così, di getto, scrissi la mia versione dei fatti su un foglio e mi sentii sollevata. Del resto, sono note le capacità terapeutiche della scrittura, abbiamo la grande poesia di Anne Sexton proprio perché il suo psicoterapeuta le suggerì di rovesciare sulla pagina i malesseri della sua vita nel tentativo di rielaborarli attraverso le parole. Così, recentemente, avendo già curato volumi antologici per FusibiliaLibri, marchio editoriale dell’associazione Fusibilia fondata insieme ad Ugo Magnanti, e di cui sono la responsabile, ho pensato di allargare questo processo di elaborazione emotiva a persone che ne sentissero la necessità. Abbiamo perciò pensato alla realizzazione di un progetto editoriale sollecitando gli autori, tramite un concorso letterario, ad esprimersi sul poco visitato tema del conflitto relazionale, senza troppi pudori, osando coraggio già nel titolo, ruvido, così come può essere una frustrazione repressa. Una sfida, per noi editori e per gli autori che hanno accettato di raccontarsi.
Le diverse sezioni del concorso sono strutturate in un modo innovativo.      Quale l’input?
Volevamo consentire a tutti la possibilità di esprimersi sugli stati d’animo derivanti da una relazione mal gestita, sui residui tossici di una comunicazione interrotta o mai stabilita, su una relazione improbabile; il concorso, quindi, non è stato pensato esclusivamente per gli abituali della scrittura (si è trattato, in questo senso, di un concorso letterario in senso lato, anche se tra gli autori selezionati ci sono nomi di rilievo del panorama letterario), ma ciò che volevamo emergesse era, più che il talento, il valore circostanziato delle storie, su cui ciascuno potesse riflettere ed elaborare significati, senza mai, chiaramente, esercitare alcuna pretesa di giudizio. Per questo sono state suggerite le più disparate forme di comunicazione letteraria, dalla classica, come l’epistola e la poesia a quelle tecnologiche di ultima generazione, come l’email e gli sms. Il risultato è sorprendente, per forza e singolarità. E perché la lettura risultasse più armonica possibile, il libro è stato impaginato non a sezioni, come verrebbe supposto pensare, ma avvicendando esperienze e situazioni come se fossero pagine di un’unica storia: nell’alternanza di registri drammatici e ironici, al lettore è offerta una continuità narrativa che mantiene alta l’attenzione.

Un tema così singolare avrà sicuramente scatenato la fantasia degli autori, ci sono testi che hanno saputo cogliere maggiormente il fulcro del tema, oppure ognuno ha una singolarità?
La maggior parte dei testi gira (incartandosi, a volte) sul conflitto relazionale di coppia, tema su cui si sono espressi sia donne che uomini, dato che il concorso era intenzionalmente a “doppio senso”. Ma ci sono state anche interpretazioni “a latere” con alcuni autori che hanno individuato il “bastardo” (cinico o simpatico mascalzone) non nell’interlocutore frontale, ma in qualcos’altro, come la nostra parte in ombra. Questo ha quindi forzato un allargamento del titolo del libro, rispetto a quello originario, in “con variazioni sul tema”, perché spesso la difficoltà di relazione con gli altri ha origini endogene. Ma l’esito finale è sorprendente e rende il libro piuttosto versatile nell’approccio, adatto sia ad una lettura più impegnata, come “spaccato sociologico” sia ad una più superficiale, come “libro da spiaggia”; le situazioni raccontate sono variegate e narrate con registri che vanno dal drammatico all’esilarante.


Per un concorso così particolare ci sono stati molti iscritti?

Come dicevo, un titolo così di sfida ai canoni necessitava di coraggio sia nella proposta che nella risposta. Quindi devo ammettere che rispetto ad altri concorsi da me curati l’adesione è stata relativamente più contenuta, ma era un effetto che mi aspettavo: dal mio punto di vista, si è trattato di un contesto elitario sin dall’inizio. Il web è colmo di concorsi sul tema del “caro amore” e “caro tesoro”, un tema melenso sovrasfruttato, che come editore non mi interessa affatto: quello che mi proponevo era scoperchiare un vaso di Pandora, e mi chiedevo, senza voler sconfinare in fini sociologici: “Cosa resta una volta svanito lo “zucchero”?”. Ci sono state persone palesemente spiazzate dal titolo che prima di inviare i propri testi mi hanno scritto in privato, presumibilmente per essere incoraggiati a proseguire, c’è chi ha chiesto di scrivere in eteronimo, chi ha firmato con le sole iniziali del nome, ma in tutti era percepibile il sollievo del poter, finalmente, avere l’opportunità di raccontare la propria esperienza; c’è chi l’ha fatto con la pesantezza, ancora, del dolore, e chi con la salvificazione dell’ironia.

Con i testi selezionati è stato realizzato un libro. Sono previste delle presentazioni?

Sì, il volume è stato presentato per la prima volta al Museo Civico Archeologico di Anzio (RM) all’interno della rassegna “8 poetesse per l’8 marzo” curata da Ugo Magnanti, ed è stata un’emozione di gran portata accogliere fisicamente, dopo averlo fatto virtualmente nel libro, gli autori, alcuni dei quali provenienti da zone geograficamente lontane come la Lombardia, la Puglia, l’Emilia. Successivamente, ad aprile a Viterbo, abbiamo realizzato una lettura scenica tratta dal libro, nell’ambito della “Settimana della Cultura”, e ora in calendario ci sono altre date prossime: il 2 maggio a Latina, all’interno del Festival di letteratura “Lievito”, e il 17 maggio a Roma presso l’auditorium della Banca d’Italia e il 2 luglio a Caffeina Cultura Viterbo. Stiamo inoltre predisponendo presentazioni a Milano e a Napoli.

Dona Amati, ideatrice del concorso, ha un rapporto diretto con la parola soprattutto con la poesia?

Io credo che utilizzare la parola in forma scritta significhi identificarsi e affermarsi come soggetto pensante, creativo, attraverso la rottura degli schemi prestabiliti e il riposizionamento, ad ogni necessità, come spesso le esperienze ci sollecitano a fare, delle proprie interpretazioni dell’esistenza; un processo senza il quale si resta nell’amalgama comune, nella stagnazione culturale, ciò che è indigesto agli artisti. La poesia è la forma espressiva che utilizzo, il linguaggio simbolico cripta quello che ho da dire.
Quali altri progetti per il futuro?
Dopo l’esordio incoraggiante di “Caro bastardo, ti scrivo. Storie di male e di miele (con variazioni sul tema)”, primo volume della nostra collana editoriale che esamina temi sociali, stiamo pensando ad altri due progetti che coinvolgano autrici/autori, uno in particolare dal tema molto, molto forte a sostegno dei diritti e dell’autodeterminazione delle donne. L’intento è, ancora una volta, utilizzare il mezzo letterario per sollevare una riflessione collettiva su tematiche sociali, e in questo momento di recrudescenza degli atteggiamenti violenti e reazionari verso le donne, e con la rimessa in discussione dei diritti acquisiti in anni di lotta per l’emancipazione, per Fusibilia quelle di genere sono preminenti.  

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