lunedì 1 aprile 2013

RACCONTO: MONICA MARTINELLI

“SCUSI, LEI ABITA QUI?”
                                   "La grande nostalgica ninfa rossa" olio su tela 2010 Mario La Carrubba
Ogni mattina alle sette vengo svegliata da un oggetto che fa tic-tac ed emette suoni sgradevoli e ripetitivi.  Piena di sonno, apro prima un occhio e poi l’altro e decido che è ancora troppo presto per alzarmi. Qualche volta mi sveglio di soprassalto mentre sogno che la sveglia sta suonando.
Mi consola pensare che è l’inizio di una giornata “tipo”, come quella di milioni di persone che seguono gli stessi ritmi secondo le stesse  sequenze: alzarsi, una doccia e via, un caffè al volo (la giusta dose di veleno per cominciare la giornata alla grande). Poi di corsa al lavoro, a tentare di salire su un autobus sempre strapieno, oppure dentro la macchina in coda su strade affollate sin dalle prime ore del mattino.
Certo qualcuno è più fortunato, prima di uscire da casa per recarsi al lavoro non deve fare il bucato, cambiare pannolini, pulire due chili di fagiolini e farcire un pollo intero destinato a sfamare la truppa familiare per il pasto serale. Invece molte donne prima di cominciare il “vero” lavoro si trastullano in queste amenità. Durante la pausa pranzo devono pure procacciarsi i viveri, e non appena ritornano a casa nel pomeriggio devono scarrozzare i figli in automobile, uno a nuoto e l’altro al catechismo. Non hanno tempo per andare in palestra, ma tanto non importa, di movimento ne fanno già abbastanza.
Io sono più fortunata, io non sono tra queste martiri del focolare domestico. Vivo in famiglia e ci pensa mia madre all’ingrata custodia della casa. Un tesoro di mamma che mi fa trovare pronta ogni cosa: dalla prima colazione la mattina, alla cena quando torno a casa la sera, stremata dopo una giornata di lavoro.
Si occupa anche di fare la spesa e di tenere la casa dignitosamente pulita (per fortuna in famiglia siamo solo in tre).  Per non parlare poi della biancheria stirata.  E sicuramente ho dimenticato qualche altra sua dote.
Se dipendesse da me la casa sarebbe una vera e propria  maison du désordre, e un posto dove trovare un indumento pulito tra quelli sporchi diventerebbe una scommessa.
Fosse per me mangerei ogni giorno le stesse cose (tipo panini al prosciutto e formaggio o wurstel con ketchup), senza alcuna attenzione a diversificare la dieta. Grazie a mia madre, invece, che prepara gustosi manicaretti, posso anche scegliere il menu…Non è deliziosa?
Scusate, non mi sono ancora presentata: mi chiamo Francesca, nome non troppo originale, lo so, ma si vede che i miei genitori non avevano tanta fantasia in fatto di nomi.  Ho trentadue anni. Segni particolari: né bella né brutta, mediamente passabile, molto pigra.
Lavoro da quattro anni presso un ministero e farei quindi parte di quella schiera di “fannulloni” tanto vituperati da un ex ministro nano.
Avrò forse la sindrome di Peter Pan? Può essere, sta di fatto che non ho nessuna intenzione di schiodare da casa. Sposarmi? Fare dei figli? Al momento non ci penso proprio, poi si vedrà, del resto ho ancora tanto tempo per farlo.
Tutte le mie amiche si sono lanciate nella carriera, chi è avvocato, chi medico, chi manager aziendale, e poi naturalmente riescono pure a tenere a bada un paio di meravigliosi marmocchi ciascuna e a fare di tutto e di più…Saranno donne bioniche!
Mi dicono: “Vedrai che presto non ne potrai più di quel lavoro, è alienante” (mentre, ovviamente, quello che fanno loro è a dir poco entusiasmante…) – e ancora: “Nei ministeri si guadagna così poco e la carriera è difficile o quasi impossibile se non hai la  raccomandazione”.
Invece io trovo stimolante un lavoro semplice  e ripetitivo come mettere timbri sulle pratiche o inserire nei terminali un mucchio di dati che non serviranno a nulla. Insomma, un lavoro che non sorprende mai, giacché io le sorprese le trovo così noiose. In fondo pure questa può risultare un’attività creativa; dipende sempre dal punto di vista di chi guarda.
Come ogni giorno, puntualmente esco da casa alle ore 8 per andare a prendere l’autobus che mi porta in ufficio.  “Chissà oggi quanti dati riuscirò ad inserire oggi” penso fra me e me.
Nell’androne incontro la signora del piano di sopra. Poverina, da qualche anno soffre del morbo di Alzheimer. Esce solo se accompagnata da qualcuno, perché rischia di non ritrovare la strada di casa. La vedo sempre con una donna alquanto giunonica che parla con accento straniero, sarà la badante. Non riconosce i condomini e credo neanche i suoi figli.  -  “Scusi, lei abita qui?”  -  domanda a tutti quelli che incontra, mentre mi fissa con uno sguardo un po’ perso. Guardo il movimento delle sue labbra. Non sa che non posso sentirla e neanche risponderle perché sono sordomuta.
La sera torno a casa alla stessa maniera e con lo stesso stato d’animo con cui sono uscita la mattina.  E’ il destino di milioni di persone.
Sarà questa la felicità?

Monica Martinelli

2 commenti:

  1. Un racconto, anzi una storia che si lascia leggere senza interruzioni, che cattura l'interesse con sempre maggiore forza.
    E', secondo me, un racconto che andrebbe riletto più volte, perché dietro alla sua apparente semplicità mette in evidenza delle cose molto importanti e affatto banali: prima di tutto il senso della vita, il riconoscimento della propria condizione privilegiata rispetto a situazioni meno vantaggiose, ma soprattutto il riconoscimento di valori profondi insiti anche nelle piccole cose della vita; Poi c'è il senso della gratitudine: qualcosa di quasi scomparso ai giorni nostri e che invece è importantissimo e che andrebbe sempre più messo in evidenza soprattutto in una società dove ogni cosa sembra scontata.
    Interessante e del tutto inatteso il finale: la protagonista è sordomuta. Un valore aggiunto alla storia perchè proprio da una persona così svantaggiata viene una lezione di vita per tutti.
    Evidenzierei anche un altro aspetto che mi ha colpito: l'autrice mette in evidenza l'assurdità di una vita moderna fatta di mille impegni e di carrierismo proprio contrapponendola alla quiete della protagonista sordomuta che, nella sua saggezza, nel riconoscimento probabile dei suoi limiti (umani, non perché è sordomuta) trova invece la giusta ed equilibrata posizione nell'esistenza.
    Grazie per questa bella lettura.
    Cinzia

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  2. Cara Cinzia,
    grazie per il tempo che mi hai dedicato e per le tue belle parole che non solo mi fanno immensamente piacere, ma che evidenziano aspetti di questo racconto che hai saputo cogliere con grande perspicacia e profondità, anche grazie alla tua notevole sensibilità umana e poetica.
    Un caro saluto
    Monica

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