Cinema Italiano. Arriva l'era delle cine-polpette
Parte la nostra inchiesta/denuncia sull'oltraggio all'arte italiana
di Sarah Panatta
Nel Paese della cultura avvolta da
ragnatele e piena di buche senza custodi. Nel Paese museale delle arti, belle e
ammuffite. Nel Paese di De Sica (padre), Rossellini, Bertolucci e oggi
Sorrentino. Esiste un evidente duopolio produttivo e distributivo che del
cinema fa banchetto e dei cervelli italiani, sorbetto. Avete notato la mole di
film, per lo più commedie marchiate dallo stesso stampino, che inondando da
qualche anno, ogni mese, le affamate sale italiote? Prima c’erano i weekend
natalizi e quelli pasquali, nel mezzo cinema americano a gogo. Oggi è sempre
festa, e i film made in Italy si riproducono in preda a miracolosa
fertilizzazione.
Linfa al cinema italiano? Non era in
disgrazia? Sì. E no.
Sapete quanto spesso opere
inconsistenti, anzi operazioni di product placement volgari, che per vendere
un’auto o una catena di mobili si travestono da film, vengono foraggiate con i
soldi delle nostre tasche? Mentre il cinema vero e l’arte tutta aspettano sulla
barella un po’ di ossigeno? La domanda inquieta o almeno dovrebbe inquietare. Riformuliamo.
Quanti finanziamenti pubblici alle cine-polpette?
Definiamo prima le cine-polpette. Sciogliamo
l’atroce dubbio sul ricettario del nuovo cinema italiano, che tanto “Paradiso”
non è più. Tranne qualche rarità. Surclassato il neorealismo mettiamo pur
sempre in cantiere lucidi e interessanti tentativi di neo-neorealismo (tanto
per ingolfare la batteria pigolante dei neo- di questa epoca riprodotta e
svuotata). Da Giorgio Diritti a Mirko Locatelli passando per la fiction
documentaria del premiato Alberto Fasulo (Tir).
Alcuni ottimi autori, più o meno giovani, tecnicamente inappuntabili e fieri di
una sperimentazione sul capitale umano italiano e oltre, che lascerebbero ben
immaginare sul risveglio del cinema nostrano. Ma sono stelle lontane, in un
cielo scuro.
I loro colleghi, tanti, troppi, tra
scelte alimentari (pur legittime) e strategie serrate di marketing hanno
smarrito la bussola. Torniamo quindi all’argomento scottante, fritto sulla
stessa padella, mai lavata da ormai troppi anni. Le cine-polpette. Negli ultimi
trent’anni sul tavolaccio cinematografico post televisivo, riccamente
imbandito, padroneggiava il cine-panettone. Lui, incontrastato dolcificato
circo di culi-tette-stereotipi-altri culi-altre tette, con condimento di comici
catodici del momento, talvolta molto preparati talvolta ridicoli. Poi la
ricetta ha perso smalto, o glassa, le ordinazioni sono calate. Approdati al
cinema i comici “social”, e la narrazione grottesca take away scalmanata tra
youtube e tv on demand, la commedia italiana ha abbandonato i panettoni optando
per un menù più rapido e replicabile più volte l’anno.
Ecco a voi le cine-polpette. Da
Checco Zalone al nuovo Carlo Verdone ammiccando ai Vanzina sempiterni, da Tutta colpa di Freud alle maschere di
MTV, da Sapore di te a Una donna per amica. Film privi di
scrittura, ammucchiata di divette e bravi attori che sembrano (ma non sono)
capitati per sbaglio. E qualche scorcio paesaggistico meritorio del
finanziamento di commissioni regionali e addirittura ministeriali. Escogitato
l’inghippo.
Autori e registi, in alcuni casi rispettabili come l’appannato
Giovanni “Manuale d’amore” Veronesi, cucinano una cine-polpetta/mese,
coprodotta con soldi privati e pubblici, con il patto-inganno che l’Italia va
sponsorizzata, e che il cinema va nutrito, gli esercenti resuscitati, il
pubblico incoraggiato a consumare arte e far girare liquidi nella casse secche.
Nessun problema se il prodotto finale è un mega spot indigesto, pure molesto,
mal recitato e scritto peggio, senza messaggi se non quelli che incoraggiano a
comprare casa (magari abusiva) sulla costa o il suv del protagonista.
C’è da chiedersi ora, a questi ritmi,
in pieno stile cura Ludovico, se qualche paziente-cliente non andrà oltre il
semplice morso, e ingoierà la cine-polpetta. Rischiando di strozzarsi e/o di svegliarsi.
Chiedendosi come vengono buttati
tanti soldi pubblici, nella tacita accettazione di massa. Su che cosa potremmo
invece dirottarli? Ah, già. Scuola, sanità, lavoro, servizi sociali, arte…
Magari anche cinema, indipendente,
sudato, stanco, ma vivo. Anche dopo l’avvelenamento da cine-polpetta.
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