Una domenica notte. Cinema indipendente in Italia, paura?
A guardia del cimitero degli autori
liberi. L’uomo che parlava agli zombie, ma voleva sterminarli. Antonio Colucci
ha 36 anni, un figlio, una moglie quasi ex, una fidanzata isterica, un fonico
che aspira panini e dimora in un loculo. Ed è un cineasta.
O meglio, la fotografia invecchiata
di un speranza giovanile riposta in una videocassetta distribuita solo in
Germania. Antonio è un regista. Appiattito in una quotidianità polverosa di
steppe mentali e di intrallazzi politici più vecchi del mondo stesso. Per campicchiare
realizza spot pubblicitari ai commercianti locali e collabora con le scuole.
Mentre ragazzini nutriti di bianco e nero da genitori radical-kitsch lo
deridono, e rampolli “Pip Pop” di un cinema industriale erede più di Maria De
Filippi che di Quentin Tarantino, macinano set e finanziamenti. Imbavagliato
dalla mafiosità mentale e dall’apatia terrorizzata e terrorizzante dei suoi
compaesani, Antonio vive tra rimorso, vergogna, brama incancrenita di riscatto.
E di fantasie.
Aggrappate allo spigolo di quel
copione nuovo, che aspetta di essere girato. Ma senza un produttore e senza un
distributore, come si fa il cinema? Un’impresa “da” paura.
Fare cinema in Italia difendendo idee
poco “s-vendibili” è un’avventura ventimila leghe sotto le suole bucate della
propria dignità. E’ una cambiale già scaduta, un contratto con la propria
pazienza, una scommessa di sangue e sudori. E’ un incontro ravvicinato con
l’ingordigia fraudolente delle (incrostate o scrostate?) paralizzate borghesie
al potere. Una gita tra vampiri. Orrore puro. Per i cosiddetti indipendenti un
suicidio, o nella migliore delle ipotesi un azzardo che costa anni, affetti,
desideri.
Antonio è uno di “quelli”. Quelli che
insonni ripassano le falle possibili della sceneggiatura. Quelli che “avrò chiesto
anche al bar qui sotto se può farmi da sponsor?”. Quelli che se non hai un
“amico” ai piani superiori non sali neanche di un millimetro. Portare avanti la
perigliosa gestazione della propria opera e poi cercare, con strenua disperante
attesa, i fondi per non affondare al primo ciak. Vagando tra le sagome
spettrali di potenziali produttori e inermi collaboratori, figure spurie, a
volte abborracciate, ma anche inquietanti, corrotte, spregiudicate. Un parco
degli orrori. Senza effetti speciali. Tutta vita quotidiana.
Lo raccontano Giuseppe Marco Albano e
Antonio Andrisani, rispettivamente regista e sceneggiatore di Una domenica notte, presentato da
Distribuzione Indipendente e prodotto dalla neonata e coraggiosa Camarda Film,
girato in cinque settimane con 500mila euro (tantissimi eppure briciole davanti
agli investimenti dei cinepanettoni e cinecocomeri vari). Commedia nera,
casalinga ma ambiziosa, meta-cinematografica, iper cinefila e mai confortante,
tra il macchiettismo deliberato e la denuncia elettrica di sarcasmi mal sopiti.
Sipari surreali omaggiano l’Italia in
cartolina di Ciprì e Maresco, mentre dolly ostentati dileggiano gli
americanismi di molto cinema nostrano attuale. Gli autori scavano
nell’esperienza diretta, tra i rifiuti e gli ostacoli monumentali delle proprie
carriere, con la verve sanguigna e l’indugio ricercato di chi finalmente certi
“strumenti” può padroneggiarli. Un inizio folgorante e disgressioni visive come
ammaraggi improvvisi, dialoghi allucinati e rallentamenti vuoti. Un film squilibrato
ma divertito e divertente quello del ventottenne Albano e del maturo e capace
Andrisani. Che esplora il labirinto depressivo e violento delle “opere prime” e
del cinema a basso budget obbligato. Quello degli autori senza “padrini”, senza
chiavi d’accesso al potere delle forti major.
E il cinema diventa pretesto per la
rappresentazione minuta seppur sintetica di una società insoddisfatta, stanca e
titubante. Se i sogni sostituiscono la verità per cullare lo “scemo” del
cimitero. Se l’arte muore di fame.
Resta aperto il dubbio. Come si fa a
fare un film indipendente in Italia?
Forse una domenica notte…
Regia Giuseppe Marco Albano. Con
Antonio Andrisani, Francesca Faiella, Ernesto Mahieux, Adolfo Margiotta, Anna
Ferruzzo, Claudia Zanella. Sceneggiatura Giuseppe Marco Albano, Antonio
Andrisani. Montaggio Francesco De Matteis. Fotografia Francesco di Pierro.
Musiche Populos, Brunori Sas. Produzione Camarda Film. Italia 90’
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