La stella è pianto
rosa…
(a Mario La Carrubba:
nel commosso ricordo futuribile…
di ogni antica sesta vocale sempre
nuova e struggente, luce inebriata)
1 –
…La stella è pianto rosa… intonava, s’incantò
Rimbaud; ma oggi, Mario, qui Tu Piangi per
tutti i tuoi Colori – come fossero anni, imprese,
gioie o sconforti in mostra allo stesso modo:
tutti da accogliere in questa tavolozza concreta
che è la vita, mentre l’altra ideale la evochiamo
a parole, suffragando ricordi che premono da
dentro! – e uscendo fanno piangere, s’inventano
carezze, ali in pensiero, cromìe come turgori,
appuntamenti d’anima, sfumati fragili e assoluti…
2 –
Mario, romanzi anni, visi troppo lontani eppure
qui presenti – l’Accademia, Manzù, una visita
ad Àrdea, l’estemporanea di voi allievi devoti
ancora alle Belle Arti, alla Dea Pictūra – mentre
Sculptūra troneggiava egualmente assisa, sorrisa
nei ritratti di Inge, nelle pose eternate come retaggi
fuori del tempo, mentre convulso il Tempo impèra…
Era il ’65, nella Città Eterna dialogavano Fellini
e Flaiano, Moravia e la Morante… ma Pasolini già
ammoniva laico il Moderno di non tradire, ferire
le radici in religio, Mamma Roma o il Vangelo
che ci condanna e ci assolve – pentiti di benessere.
3 –
S’immola ogni poeta a corteggiare sua la A, la E,
battezzare una I, la O, la U a pantòne del Cielo,
costellazione minima e infinita!, quasi Cuore
del Mondo: lo stesso che è di tutti, pulsa in fondo
all’unìsono… Ma Mario piange perché i colori
cambiano, restano doni uguali solo nella Fabula,
Principato o Regno dell’Arte: mutano anzi sulla
rètina, i tessuti di dentro, che colgono il rimpianto
ed un travaglio ininterrotto di secoli: Esaquadro
ocra, vermiglio, viola, smeraldo, biacca e cobalto!
4 –
Come li attraversiamo?, se davvero riusciremo,
riuscimmo a far ponte dal vecchio verso il Nuovo,
il tramonto che muore/nasce ogni alba, e surreale
beffa il nero, ruba alla Stella il rosa per
uccidere,
obliare la notte, inciderle il ventre col cesareo taglio
che fa nascere, partorire dal buio ogni colore sanguinoso
di bianco, in un cielo che ci urge d’azzurro,
scava meglio
nei viola, nei marroni che dal blu elettrico
e dal rosso
s’inventano, giurano quasi un intero codice d’Amicizia,
fiero un Trattato sulla Tolleranza, postillato, luminoso
in giallo, e rilegato, scollinato ameno, verde
di primavera!|
5 –
Le stagioni incolori si compensano, obnubilate per
contrafforte d’emozioni, guizzo barocco d’esperienza…
Ora la Sesta Vocale per ciascuno è diversa, mentre
ogni destino sceglie e s’incarna propri i colori, il suo
tono esclusivo, confidato in sereno come un Credo
amoroso, od un messaggio riservato all’amata,
chiosato dall’amanuense che in segreto scrive, ri-
scrive solamente a Dio, dentro codici miniati… Rosso
diventa oro, e il buio argento!, mille notti
per pregare
la Luna, chiedere alle frecce di Diana di salvare Eros.
6 –
Lui riesce a dar colore a ogni bacio in passione –
questo cogliemmo da ragazzi, certo senza capirlo
lo sentimmo: ma l’Arte vera è ignota… soprattutto
a se stessa! Musa invocata che seduce, divina l’umano
sino a cieli indicibili, radiosità insondate… A
nera?
E bianca? I rossa? O blu? U
verde? – giochiamo coi colori
per profetare l’anima – la Storia/scimmia va da sé,
ma
forse può servire ricondurla in visita al periodo blu, a
un orizzonte rosa, come fece Picasso coi saltimbanchi,
gli arlecchini o i poveri quasi felici, meno tristi se
giunti in riva al mare – il mare da cui perla nasce
Amore.
7 –
Ad Àrdea giunse Enea per rifondare un popolo,
edificare la pace… Forse anche Giacomo, il Manzù,
arrivò qui divinato a restare, a concretare, riplasmare
creta come un poeta il linguaggio, i Cardinali la fede,
Giulia e Mileto l’infanzia, angioletti ridenti d’ogni
gioco...
Rotolano sempre e benedetti gli Amanti, stelle infiammate
nude a fecondarsi gli astri, un firmamento dove proprio
la Grande Storia, crocifissa è redenta, e
perfino una sedia,
un canestro di frutta ci assapora – e sazia la Redenzione.
8 –
Prendo la A di Amore come Sesta Vocale, e chiedo
all’Arte
d’avvolgere ancora e sempre nel suo bronzeo panneggio
il tremore d’un Cuore che, quando ama, a sua immagine
e somiglianza, scolpisce Quello Stesso di Dio – perde
il modello immenso, prospettico, mentre ritrova Luce,
qui ad Àrdea, come il pio Enea figlio d’umile Anchise
e di Venere sempre troppo bella! Riscopre pura la casa,
l’amore, il modellato, la Storia da seminare, rito di fiori
o
vocali cosparse in petali, baci/colori su di una tomba
bianca,
soglia d’Eterno e porta trasparente, marmo placato in Arte:
dove d’estate sonnecchiano i gatti, e anche il vento si
ferma,
si rammenta giovane,
nel
sole/specchio di Ripetta
– e piange…
Plinio Perilli
(Roma/Ardea,
“Museo Manzù”,
27
Ottobre 2013)
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