martedì 1 ottobre 2013

(esca)Racconto- Chiara Mutti


RUMORE DI FERRO
 
Ancora notte.
La luce dei lampioni riflette sui binari bagnati, rimbalza negli occhi,
disegna sagome nere in controluce, gioca, si dilegua nell’ombra;   
una stazione alle prime ore del mattino è un paesaggio fantasmagorico. Irreale.
Il fischio del treno in arrivo mi scuote, è un doloroso risveglio, l’umanità si accalca
per conquistare l’entrata; azioni meccaniche ogni mattina.
Centinaia di marionette manovrate dall’alto.
Il treno è caldo, un caldo malaticcio e maleodorante ma caldo, fa piacere. Cercare un posto, trovare
un posto accanto al finestrino, accoccolarsi - un rito, una dimensione familiare,
la sensazione di essere a casa, un’altra casa
fuori casa.
Le abitudini ci rassicurano, sono il bozzolo che ognuno tesse attorno alla propria vita.
Ci si guarda intorno: visi, occhi, sguardi distratti, curiosi, indifferenti, visi nuovi
ma soprattutto conosciuti, visi conosciuti di gente sconosciuta.
 

Clang-clang - rumore di ferro. Il treno si muove.

Riparte; chi ha trovato un posto è già al suo posto. I visi scompaiono, i libri si aprono;
ci si nasconde.
Si cambia con l’età, una volta l’occasione di parlare con qualcuno era un modo per comprendere,
due occhi capaci di comunicarci qualcosa; simpatia, un’emozione - poi si cresce,
si chiude il mondo
fuori.
Il libro di antropologia fra le mie mani è così interessante! Ma io non riesco a concentrarmi,
mi distraggo, ho la testa altrove, oltre
flashback dal finestrino
l’immagine dei caseggiati ha lasciato il posto alla campagna, i ricordi
si ammantano di nostalgia, i colori sfumano nel rosso del cielo che albeggia.
Mille trine di brina sul verde, un manto di vapori acquei si alza sottile,
una coperta di piume stesa sul mondo,
leggera, impalpabile.
Nella mia mente il ricordo di un’emozione,
leggera, impalpabile;
una certezza mattutina, lo specchio di fronte a me che restituisce il mio sguardo… un altro mondo eppure il mio.
Un’esperienza che diventa familiare come la ricerca del posto, l’accoccolarsi al caldo,
un libro aperto -  tu.
 Clang-clang. Ad ogni fermata la folla si accalca,
rassegnata, ormai senza più posti a sedere. Ci si chiude di più, nei pensieri, nel paltò
per scacciarla fuori, la folla - in piedi, ondeggiante, rumorosa.
Le costruzioni ricompaiono, brutte, spietate, cemento su cemento.
La campagna tagliata,
sezionata, smembrata, divorata
dai cannibali del mio libro. E’ inverno,
è una strana alba che sembra sera
e non ci sono papaveri sulle rotaie
e non ci sei tu di fronte a me.
Il buio della galleria spegne le immagini e i miei pensieri,
ascolto.
 
Rumore di ferro.
Staccando lo sguardo bruscamente
dal finestrino si incontrano altri sguardi,
tutti all’unisono -  per qualche secondo;
si abbozza un sorriso, si accolgono dettagli di discussioni animate:
una vicina pettegola, una partita di calcio,
si scorge un’espressione irritata;
l’umanità! Ondeggiante, eterogenea.
Nell’ultimo tratto i caseggiati si allontanano, si allargano ai lati, 
come separati da una forza misteriosa.
Al loro posto, i binari, aumentano, invadono, sfrecciano
in tutte le direzioni, finché tutto
tutto: case, persone, pensieri e binari  non viene inghiottito
dalla stazione –
 
Ferro.
Ricordi di arrivi, di attese, di partenze,
- la sabbia scorre -
di mani, di valige, di gambe
“devo aver rimandato qualcosa,
qualcosa di molto importante”
la sabbia scorre, la valigia è vuota,
il binario è morto.
La stazione è un tempio.
La stazione è un’onda che spinge
al largo.
 
 
 
Chiara Mutti

2 commenti:

  1. Un'immagine, un bellissimo e realistico squarcio, a tratti desolante e triste, sulle tante solitudini (centinaia di marionette manovrate dall’alto) immerse nella moltitudine che quotidianamente si affrontano e si trovano a condividere uno spazio forzatamente comune - il treno -
    Complimenti anche che per la poesia che chiude il testo.
    Monica

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    1. Grazie Monica per la tua nota, dimostri come sempre una grande sensibilità e attenzione per la vita degli altri...per la vita che ti circonda e che sai così prontamente riconoscere!

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