martedì 1 ottobre 2013

Vacancy - Cine-tipi (1) Sarah Panatta

Cine-tipi. Antonio Pane e Gorbaciof


di sarah panatta

 
Tra Incerti e Amelio. Storie immote e corpi-scene. La favola personificata e il simbolismo dei reietti per raccontarci. Uomini o tipi? Uomini-topi, nuova (unica) avanguardia strisciante del cinema (che vorrebbe farsi) denuncia.

Se al cinema italiano mancano oggi strutturalmente, regie intransigenti, solidamente indipendenti, non pretestuose, tralasciando esempi eclatanti sino al parossismo (da Sorrentino a Delbono). Se le sceneggiature, spiaggiate nello smascherato labirinto del grottesco, non sopravvivono al dialogo con la realtà, o non lo tentano, né lo sentono. Restano i corpi attoriali. Che lavorano con il mento e con le mani. Che increspano pieghe inusitate del collo. Che tendono anarchici e solidali le fibre di muscoli in allerta costante. Uomini. Che in una bolla di respiro denso e dubbioso misurano la sconfitta di una società turpe, resistente, intrinsecamente feudale.

Pochi decisivi interpreti intorno ai quali intere opere si incardinano, con risultati alterni. Creature impenetrabili eppure prodighe, spericolate, di carne modellabile, si sangue fremente e controllato, che nel mezzo muto giro del capo, assordato dalla società che rigetta e si auto-consacra a discarica perenne, dicono. Nei panni enumerati e inamidati o casualmente stratificati di personaggi-scarto. Essi dicono. Dalle paratie mai stagne di occhi impalati e tremanti, conficcati nelle ferite di una realtà che soltanto essi vedono. E dicono. Dell’indifferenza e sei sotterfugi ipocriti, delle ideologie inette, delle reciproche assuefazioni/ricatti, delle affollate prigioni di sale sciolti dalle intemperie di crisi eterne. Antonio Albanese e Toni Servillo, la macchia tragicomica e il mostro ordinario. La fame e il nutrimento.

 
Antonio Pane/Antonio Albanese (nell’irrisolto stage fotografico dell’ultimo film di Gianni Amelio, L’intrepido) è. È centinaia di impieghi, di incontri, di sostituzioni. È ma non esiste. Se non per debole, ottimistica scommessa con una dimensione urbana e familiare che non lo percepisce. Se non come paravento, appiglio trasversale, conforto estraneo a tempo determinato. Antonio Pane divora se stesso donando sorrisi e massime stantie perché storicamente e individualmente incamerate. Antonio è un “rimpiazzo”, un’identità in contumacia. Albanese si annienta progressivamente nelle membra mimetiche dell’altro “suo” Antonio. Si immerge, palombaro del lavoro (in) nero, nel disarmo delle industrie, dei cantieri, dei contratti, delle relazioni (mai) reciproche. Albanese mimo italico per eccellenza, sconta la cancrena egoistica dei suoi simili-superiori, vassallo di un Potere aleatorio e incombente, riflesso nel cielo torbido e ferroso di Miliano, nelle vetrine di negozi-copertura, sui muri di una palestra-casino. Albanese esplode e svanisce, sottraendosi, alle/nelle poche battute di un protagonista mancato/mancante e quasi sublime.

 
Mentre Toni occupa, delimita e domina. Il Servillo nazionale, salv-agente di decine di film, feticcio mai corroso di fortunati enfant prodige. Servillo atterra, invade, seduce, intrappola, trasporta. Sulle spalle larghe, leggermente inclinate, arieti che sfondano l’aria incatramata dell’umanità in catene, tutto il peso di ciascun microcosmo studiato e impersonato. Servillo non è, esiste. Conquista lo spazio scenico, trasformando il film in una quinta praticabile, esile prospettiva, iper-mondo tutto da esplorare. Tanto più gigantesco e terrificante quanto più rincagnato, insudiciato, logorato, stropicciato in omuncoli dalla volontà appena percettibile, sebbene furiosa. Un topo che sa dove tintanarsi e come depredare la società diseguale. Il suo Gorbaciof (nel film omonimo dell’ermetico nostalgico Incerti), dipendente carcerario, che ruba alle casse pubblica per giocare d’azzardo, ha un’unica missione. Fuggire quotidianamente dalla città-cella, da una Napoli internazionale beffarda e incomunicabile. E irridere i ricchi idioti di turno al tavolo delle carte. Ucciso dallo stesso meccanismo che cerca di disinnescare, in un angolo, solo.

Corpi di esclusione e di riscatto impossibile. Caratteri che non si lasciano afferrare dalle maglie della fiction. Che vivono e animano la nostra casa dei fantasmi reale.

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