Piazza Vittorio: human backstage
Testi e
fotografie
di sarah
panatta
Questa accavallata strategia di con-cavità angolari. Uniforme ritorno di linee di fuga.
Se fosse diventata, o sempre stata, a tua insaputa, il perimetro sicuro del tuo immoto scontento?
Figlio eterno, che abiti oscenamente assente e statisticamente plurimo questo giardino di pietra.
Figlio che languisce ai banchi di una Storia di sbucciate
ecoplastiche, tumulata nel calore
asfissiato di spazzature oltre umane. Figlio del post che della postuma sua
consapevolezza si beffa. Figlio che matura e snatura nell’eterna promessa di un
bagliore troppo lontano. Figlio torna a te. Tu che vivi nella memoria dei tarli
paterni e noleggi paternità irresponsabili, quando hai smesso di chiedere perché?
Di desiderare come? Di guadare dove? Hai mai cominciato?
Non esci dal
cono d’ombra, spazio di immaginazione mancato. Preferisci il sentiero già
battuto, dove figli tuoi, tuoi fratelli, avanzano su infiniti binari, senza
sfiorare l’imperfezione della propria sintesi. La possibilità non
utilitaristica del contatto.
Contagio. Lo
spauracchio della civiltà dei confini. Le malattie, le armi chimiche, gli
sbarchi, i terrorismi nucleari, le mascherini, i gas, il fumo. Quanto fumo. È la
materia dei confini.
Li trasforma in cicatriziale sgomento, poi in indifferente
echeggiato lamento. Smettere di sentirlo e di sentirci è facile. Premere un tasto,
sfogliare una pagina, linkarsi ad altro paesaggio, altro confine, altra
cicatrice, altro. L’altro non è mai nostro. È il cittadino vicinissimo dell’altrove
sperduto e fracassato a pochi centimetri di distanza.

Figlio della
grande Migrazione. Hai deciso di esplorare oltre le colonne d’Ercole.
Eppure hai
lasciato marcire il seme di ogni terra nuova. Hai prediletto conquiste
proterve.
Negando il dialogo del tuo Credo hai tramandato spesso solo un monolite
unitario in terra straniera. Figlio della Migr-azione. Hai smesso di gattonare
per imparare il linguaggio di penetrazione che non puoi più rimandare?
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