giovedì 1 agosto 2013

(esca)Recensione: Domenico Donatone "Chiara Mutti"


Chiara Mutti, un estro in miniatura!

di Domenico Donatone

Nulla è più inedito di ciò che non si è mai letto. Questo principio consente ai critici di muoversi con una libertà di giudizio che non deve necessariamente attenersi alla “novità” libraria, al testo appena licenziato, oppure finalmente recensito. Ciò accade perché esistono nell’esercizio critico delle ragioni che la critica a volte non comprende, così come Pascal diceva dell’amore. Dinanzi a ciò che è finito, spesso si può preferire il bozzetto o addirittura il non-finito, l’inedito che, appunto, non si è mai letto pur essendo stato pubblicato. La novità è piuttosto questo. Dinanzi a valanghe di libri e di pubblicazioni spesso disordinate, si può preferire la pagina vergine, non ancora imbastita per il “bagno di pubblico”, oppure un testo non ancora pronto per affrontare l’abbraccio della critica. Nel caso specifico, è capitato di preferire l’inedito all’edito, il preliminare all’amplesso, il privato al pubblico. A dare conferma di ciò sono alcuni testi di Chiara Mutti. Chiara Mutti è una poetessa silenziosa, riservata, disponibile al dialogo come ragione selettiva di confronto. Questa poetessa porta con sé, direi quasi sul viso, un’impronta cinquecentesca, arcaica, un’atmosfera che ricorda una clausura che non vede l’ora di liberarsi, di sbarazzarsi della vita per trovare altra vita. All’attivo Chiara Mutti ha un’opera pubblicata per i tipi Lepisma (Roma, 2012, € 13.00), dal titolo «La fanciulla muta», con prefazione di Plinio Perilli. Di quest’opera si può apprezzare di più ciò che è esterno al testo e non ciò che è interno ad esso, perché il testo è segnato da un’acerbità che ha bisogno di smarcarsi dalla riflessione basica e dalla formula del pensiero ordinario: «È il dolore della solitudine | uno stesso dolore per tutti || un dolore a tonfo sordo | che scuote il cuore || rosso e azzurro di vene | gonfio che trattiene | si accartoccia e stride || come un freno a mano | tirato | nell’universo del mondo». Poi incontro di persona Chiara Mutti e giungono i suoi inediti. Inediti assoluti nella loro duplice forza. Mai letti, quindi stimolanti, e mai pubblicati, quindi lontani del chiacchiericcio, dalla deformità del peso del giudizio. I testi di Chiara Mutti sono giunti come fogli che esprimono una maturazione più articolata, benché ugualmente intrisa, in molti passaggi semantici, di espressioni che mettono in mostra un’ansia così prediletta, evidentemente dalla poetessa, di dire tutto e subito, di scalpitare a volte senza palpiti. In questi inediti, però, Chiara Mutti respira! Prende fiato, impara a stare attenta, stabilisce priorità del ritmo che ne La fanciulla muta sono discontinue, così che si può finalmente decretare che la poesia fa danni solo quando chi scrive non ha capito cos’è la poesia. La poesia è concetti. Essa avanza per spiegazioni che hanno il privilegio di essere detti con la formula dei versi, che rimangono tali fino a quando definiscono uno spazio di riflessione maggiormente ben fatto e preciso. Dinanzi ai versi “inediti” di Chiara Mutti si respira qualcosa di più fermo. C’è un battito e un fremito sia lessicale che semantico che si mostra così come nella Stanza della Segnatura Raffaello ha dipinto la sostanza della poesia: il cartiglio recita in latino NVMINUR AFFLATUR, ispirato da Dio, dal fiato. La poesia è fiato che nomina le cose, che definisce gli spazi del pensiero. Chiara Mutti riesce a cogliere questa priorità. I suoi testi inediti sono prove che la forza e la tensione emotiva di nomi che determinano entusiasmo e tormento, come Achmatova, Berberova, Dickinson, Cvetaeva, Plath, Spaziani, Leto, Canto, Merini, Rosselli e Insana, possono essere conservati anche nelle piccole dimensioni, come in un concentrato di energie oppure in un prontuario poetico. Di questo concentrato Chiara Mutti si fa portavoce. Per questo mi viene naturalmente da pensare ad un estro in miniatura, ad una infatuazione per la poesia così come ad una febbre che determina comunque agitazione degna di deferenza. Quella di Chiara Mutti è una ricerca che si complica e si semplifica, che sale e scende dall’impalcatura già ben eretta dei suoi referenti poetici.

Costellazioni

I

Eravamo sulle labbra della luna

un soffio di polvere bianca,

lische di salmoni dorati

risaliti alla corrente.

Il coro d’inermi fanciulli

emise qualche nota stonata,

un’uggia di rauchi conati.


Duro il sangue pulsò

corrompendo ogni desiderio sacro:

tracciavamo i punti della celeste cometa

una domanda una domanda una domanda


nascevamo sopraggiungendo al giorno

tutto il resto sembrava sera

e la notte era già il tempo del dopo.


[…]


V

Perché mai questa scia

di detriti alla deriva?

Questo nulla che ci attrae

più dell’atomo scomposto?


Cambierò la tua fede

in un carro,

un pavone, un cavallo,

una capra bianca.

Puoi frenare il volo del cigno?

Incalzare la risposta del corvo?

Domani, domani.


Forse la materia è madre

strappata agli abissi,

per questo siano nati.

Forse non siamo che materia.


VI

Oh! Come tutto muove

e muta e segue

solo noi sembriamo

sempre in atto di finire

sempre con vani occhi

ci approssimiamo alla vista


pure un giorno dura,

ogni sole, un giorno

e una notte, una notte

basta

per tutte le stelle.

1 commento:

  1. Complimenti davvero per questa attenta e intensa recensione del bellissimo libro "La fanciulla muta" che ho avuto modo di leggere e apprezzare. Chiara Mutti entra nella poesia con grazia e gentilezza, il suo fare poesia è già essere nella poesia, come nella sofferenza, come nella realtà.

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