sabato 1 giugno 2013

EscaRomanzo (puntata) Sergio D'Amaro

Il Feroce Saladino

di Sergio D'Amaro

(Pubblichiamo con piacere una parte del romanzo breve L'allegra vita della signora Mariù', attualmente inedito.  Come ci avverte lo stesso autore "giocato su un finto diario d'epoca tra il '35 e il '60. Nel pezzo, l'incontro della protagonista col suo futuro sposo". Ndr.)
 
 
“La politica a Mussolini,
la vanga a noi,
la musica quando si può”
 
 
1938, primavera
 
   “…A-a-bba-a-ssa la tua ra-a-dio per fa-vo-o-r …i ba-a-ttiti del tuo cuo-o-r…”
   La radio suona leggera come la primavera che svolge velocemente il suo corso. Nell’aria c’è un richiamo di viole e di arance che si unisce alle brezze salmastre del mare. Non so se a ventitré anni si può essere padroni di qualche speranza. Io, nella situazione in cui sono, felice di questa musica, di questo tempo ridente, di questi profumi, ho diritto alla speranza. Oggi sento di essere nel pieno dominio della mia giovinezza, perché sento che la realtà è con me, il mondo gira attorno a me e io sono una stella pina di luce. La natura può farmi rinascere e farmi risplendere come il primo giorno sulla terra.
   “… A-a-bba-a-ssa la tua ra-a-dio per fa-vo-o-r…”
   Tra un mese mamma e papà festeggeranno le nozze d’argento. Io potrò indignare il mio nuovo vestito che mi ha cucito Lina, la nostra sarta di fiducia. Discretamente scollato, con una cintina rossa e molti pois: come a dire “Svegliatevi sensi, camminate svelti nella mente dei ganimedi e accettate di buon grado ogni più piccolo refolo di libertà”: roba da far invidia alle ‘Tre Grazie’ e a ‘Donna Clara’, che pure non scherzano con l’estetica e i cardiopalmi da innamoramento multiplo. Specie ‘Donna Clara’, con quel suo Arturo irraggiungibile, fatale, amico di Faust. “Ieri Arturo mi ha guardato. Ho letto nei suoi occhi che mi desiderava”. Oppure: “Arturo non mi guarda. Gli ho fatto qualcosa, ho offeso la sua sensibilità? Oppure, ancora: “Se mi portasse un mazzo di rose, cadrei ai suoi piedi”. Ma Arturo non guarda anche quando vede e non porta mai fiori, anche se, dicono, ne è appassionato. E allora?
   Facendo i conti, mamma e papà si sono sposati nel 1913. Un anno assolutamente insapore e inodore, eppure è l’anno che precede la Grande Guerra. Due anni più tardi sono nata io e questo è assolutamente importante. Molte cose sono successe nel frattempo e hanno cambiato il mondo e l’Italia. ‘Carducci’, il professore d’italiano, ce l’ha detto e ripetuto fino alla noia: “Guardate, ragazzi, che il mondo è cambiato. Non viviamo più nel secolo ordinato dell’Ottocento, dei sentimenti nobili, delle grandi imprese. Oggi solo un uomo è stato capace di far rivivere il buon tempo antico ed è il Duce, nostra guida e nostra unica speranza. Con lui abbiamo ritrovato il senso smarrito dell’esistenza e la dignità della Nazione”.
   Uscite dalla scuola, abbiamo dimenticato le parole di ‘Carducci’. Il mondo è ugualmente interessante senza essere un modello di ordine o ligio ai più nobili ideali. Perciò non rimpiango l’Ottocento, i suoi abiti a cupola, le candele tremolanti sul far della sera, le carrozze a cavalli. A me sembra che un tale atteggiamento ce l’abbia ‘Mimì Bluette’, con le sue nostalgie romantiche e le musiche che invadono lo spirito.
   Non mi piace, d’altronde, neanche l’Impero, l’ossessione di diventar grandi ad ogni costo, la gara di chi ha i muscoli più duri. Qui ha ragione il signor ‘Manzoni’, il ragioniere in pensione del piano di sotto che sa tutto sull’autore del “Cinque Maggio”. “Manzoni approverebbe” e “Manzoni non approverebbe” sono le due frasi più solite che si possono ascoltare dalla sua bocca educata all’equilibrio del Gran Lombardo. “Manzoni non approverebbe” dice il ragionier Leonardi “questa vergognosa corsa alle armi che sta facendo l’Italia, questo scialo di soldi, di uomini e di mezzi per mantenere occupata qualche terra africana arsa dal sole”.
   Il 24 giugno è arrivato nel nome di San Giovanni. Zia Anna ha curato la lista degli invitati e il menù della cena che sarà offerta. Escluso l’agnello, che io non vorrei mai sacrificato ad una festa, tutto il resto mi va, fino all’affogato e ai liquori. Ma non sarebbe stata meglio una Saint-Honoré? Nella lista, dopo ‘Donna Clara’ e le ‘Tre Grazie’ (la cui presenza ho difeso con forza), ho visto con meraviglia il nome di un certo Felice Tirinnanzi. Mi sono informata e ho scoperto che si tratta dell’amicizia più recente di mio fratello Giuseppe. Forse è uno di quegli intellettualoidi che a lui piacciono tanto, un po’ spocchiosi e molto attaccati ai loro grammi di sapienza. Però non ne sono sicura, potrebbe essere una sorpresa.
   La giornata si è annunciata molto calda, già fin dal mattino. Mamma ed io siamo corse ad innaffiare i gerani, temendo che non avessero abbastanza acqua per resistere. Paura come sempre infondata e un po’ pericolosa giacché i fiori preferiscono rinfrescarsi la sera. Non ho potuto evitare, purtroppo, di versare inavvertitamente mezza della caraffa che avevo in mano fuori dal vaso più piccolo. L’acqua ha ruscellato giù finendo sulla spalla di comare Nunzia, che ha un negozietto di alimentari. Ha guardato su e ha solo salutato, dicendo forse fra sé “Potreste stare pure più attenti!”.
   La strada è già animata di ambulanti, di facchini, di garzoni. Sono sbucati anche i bambini per giocare a rimpiattino e a palline di vetro sulla piazzetta con al centro una fontana. Lontano, attraverso l’arco del Castello, guardo per un momento il mare e scorgo una vela piccola piccola. Dalle case vicine con i balconi aperti le radio accese si sentono come uccelli cinguettanti. Riconosco qualche nota di “Sentimental”, di “Tornerai”, di “Bambina innamorata”. Il sole mi sembra entrare più generoso nelle stanze, come se quell’ora, quei suoni, quelle visioni, si dovessero fermare in una fotografia staccata dal tempo. Clic… e questo 24 giugno fermo sul calendario per sempre. Clic … e mare, vela, piazzetta, fiori, voci, canzoni, uniti per sempre in un abbraccio eterno di sensazioni.
   Ho visto, passando nella camera da letto, il vestito di seta che mamma indosserà stasera. Ho indovinato a chiamarla qualche volta nel mio amor filiale ‘Greta Garbo’. Quella stoffa preziosa, i fini disegni stilizzati, la scollatura audace, mi dicono che arriva da lontano. Papà l’avrà scambiata con una grossa partita di arance a Trieste o l’avrà commissionata a qualche fido murlak di Spalato. Sta di fatto che è qui e aspetta intorpidito un po’ di fresco della sera.
   Nel pomeriggio l’aria s’è fatta pienamente estiva. Abbiamo fatto un pranzo contenuto, come chi teme giustamente una cena fuori del comune. Malgrado questo, stiamo rispettando tutti l’ozio della controra. Distesa sul lettino già mi prende un forte impulso di vagheggiare. “E ondosi drappi e gonne agili e bianche, / come piume di cigno, e argentei veli / … Tutto, qual per incanto, a sé davanti / vide la bella fata; e il cor di donna / con precipiti palpiti battea”.
   Vaneggio, è il caldo o l’attesa della festa, quell’incalzare di emozioni contrastanti che vanno dall’entusiasmo alla depressione, dall’esaltazione per ciò che proverò all’effimero tempo concesso a tutto questo. La bellezza di mamma sarà come “la rugiadosa candida camelia, de’ suoi vivi smeraldi appena schiusa”. Le brillerà negli occhi “un recondito lume, le guance avrà di rosea luce giovanil”. Sarà innocente e voluttuosa, tentatrice e nostalgica.
   E anch’io, quando saranno trascorsi venticinque anni del mio matrimonio, potrò vestirmi di seta e trionfare tra gli amici e i parenti che ammirano ancora la mia bellezza. Anch’io, anch’io… quante volte mi ci sono messa in mezzo e mi sono identificata nella Regina Cristina o in Mata Hari. Io, la ‘Bella Sulamita’, l’allegra e mite Mariù.
   Finalmente l’orologio a pendolo ha scandito le otto. Dopo zia Anna, ‘Donna Clara’ e i nonni, sono arrivate le ‘Tre Grazie’ e due dei ‘Quattro Moschettieri’, accompagnati dal nuovo amico di Giuseppe. Felice Tirinnanzi è studente, appena iscritto, di Lettere. Niente male Felice, con quel vestito tagliato decentemente, gli occhiali senza montatura, le scarpe di capretto. Così a prima vista, sembra potersi assegnare alla genìa degli intellettuali, capaci di almeno una metafora ogni dieci parole. Avvicinandomi per la presentazione ho scoperto che usa Tabacco d’Harar in quantità sufficiente a stordire una fanciulla in fiore. È forse questo, insieme a certo modo gentile, direi quasi raffinato, di porgere il discorso e ad una timidezza di fondo mal dissimulata, che lo rende subito accettabile.
   Alle nove e un quarto siamo tutti a tavola a mangiare la seconda portata di carne. Il vino e l’eccitazione di trovarsi insieme hanno già fatto moltiplicare le conversazioni rendendole quasi tutte banali per chi le ascolta. Suona il campanello. È ‘Manzoni’ che porta i suoi complimenti e regala a papà, guardando ammirato le sete di mamma, una copia del suo saggio sulla villa di Brusuglio. Non più uno studio dei luoghi, ma addirittura uno studio degli angoli: c’è l’elenco completo dei ninnoli del comò, un inventario delle piante ornamentali e delle penne (sì, proprio penne) usate da don Alessandro e rimaste intatte sulla sua scrivania. ‘Manzoni’ se ne va con un mezzo inchino davanti a mamma e finendo di masticare un confetto al rosolio.
   ‘Donna Clara’, chissà perché, è la più eccitata. Scodinzola con i ‘Moschettieri’ e si alza spesso per abbracciare affettuosamente i nonni seduti. Mi pare che la sua attenzione vada anche al nuovo venuto, dal momento che anche a lei piace il Tabacco d’Harar. Arrivano altri telegrammi di auguri e tra di essi c’è quello di zio Andrea. Scrive: “Altri cent’anni di prosperità e di gaudio – Stop – Andrea”. È laconico fino all’avarizia, oppure va di fretta come la sua America.
   Alle dieci zia Anna si è appartata con l’album familiare e lo ha sfogliato attentamente. Io ne ho approfittato subito e ho chiesto cose che non avevo mai chiesto.
   - I nonni –mi ha detto – si conobbero in chiesa e restarono fidanzati per undici anni. Una sola volta nonno sfiorò con la mano il viso di nonna. Tuo padre Carlo e tua madre Carmela si amarono per nove anni. Carlo era sempre lontano e correva voce che non fosse molto fedele. In cambio portò un anello di fidanzamento che era una favola: quattro brillantini su un cuore d’argento.
   - E zio Mario – le ho chiesto all’improvviso.
   - Oh, zio Mario! – ha fatto con un sospiro che le ha fatto sgranare gli occhi e alzare i mantice del petto – lui era un signore. Era impiegato del dazio e sapeva cantare intere romanze della “Bohème” e del “Rigoletto”. Fumava soltanto i sigari toscani… Ecco vedi … -indicandomi l’immagine di zio Mario – questo è lui a ventisette anni davanti al suo ufficio. Il vestito che indossa è lo stesso che io preferivo per le passeggiate domenicali verso Solarizzo e Pescante. Bastava una distrazione di Carmela o di nonna Clara e lui mi inondava di baci, sollecitando sempre più spesso la prova d’amore. Zio Mario è rimasto l’unico amore della mia vita … Ah, ma guarda, qui sei tu a dieci anni alla prima comunione, ricordi?
   Mentre zia Anna parlava, io mi ero distratta con Felice Tirinnanzi che mi guardava con tre occhi e implorava almeno un acconto di compiacenza. Fingevo di ascoltare mia zia, che ormai andava a ruota libera sull’onda dei suoi ricordi e da un personaggio tirava un altro e un altro ancora. ‘Petronio’ stava con due dei suoi ‘Moschettieri’ a discutere animatamente e ogni tanto dava l’intesa agli amici di osservare felice. Avevano fatto bis di polpette e dei contorni di insalata e avevano in mano il quinto o sesto bicchiere di vino. Certo, erano già brilli, con o senza il consenso di papà.
   Quest’ultimo e mamma apparivano più che compiaciuti. Papà aveva regalato a mamma una porcellana di Boemia, cosa che solo un avviato commerciante di agrumi poteva permettersi. Gli sposi giubilati si guardavano, poi si parlavano all’orecchio e ridevano. Erano pieni di ciance e di tenerezze, tanto da far raddrizzare qualche ruga ai nonni e farli sentire più giovani.
   - Quando farò le nozze d’oro – annunciò papà in tono solenne – promettetemi che ci sarete tutti. Allora io sarò in pensione e avremo tanti nipotini che ci faranno regali. Levate con me il bicchiere di spumante e brindate alla nostra salute.
   E giù gli applausi dopo che avemmo bevuto.
 
 
***
 
   Felice Tirinnanzi è diventato Felice e quindi il ‘mio’ Felice. Il passaggio è stato semplice, come semplice l’incontro e scontato il destino. Lo trovo affezionato, tranquillo, romantico. L’impressione dell’intellettuale serioso e spocchioso è svanita immediatamente. Appena ha potuto aprirsi con libertà ha detto, riportando parole che solo lui ricorda, che “da tutta la persona tralucea formosità d’amore e venustate”. Appena mi ha visto “negli orecchi sentì cupo tintinno, fremito dilettoso in ogni vena, inesausto calor di fibra in fibra”. Io che al linguaggio del melodramma mi sciolgo come una fontana, non ho saputo resistere. Anche zia Anna se ne andava in brodo di giuggiole per il suo bel Mario, cantore di romanze. In me evidentemente scorre lo stesso sangue. “Chi può significar dei baci primi l’entusiasmo, l’impeto, la gioia, l’estasi nuova, eterea, inenarrabile?”. Il mio “virgineo labbro” si dissetò alla scodella di fresca rugiada della bocca di Felice, che continuò a inondare il mio naso di Tabacco d’Harar.
   Felice è buono, gentile, romantico, un concentrato di cavalleria medievale. Era destino che lo incontrassi e che l’amassi.
 
 
***
 
 
   “…A-a-bba-a-ssa la tua ra-a-dio per fa-vo-o-r…”
   Ascolterò la radio, nella mia nuova casa di sposata. Una Telefunken. La casa di Felice e mia, naturalmente. Su di una poltrona Frau. Un quadro, una stampa, un manifesto dell’azienda agrumaria di mio padre. La biblioteca di Felice, tanti da Verona, Pitigrilli, Delly. Le foto di Nazzari e di Cervi. Sere da gustare insieme, emozioni da provare, esperienze da condividere. Poi, signor Felice e signora Mariù, sulla Balilla a goderci le vacanze e le gite. Molte visite a Solarizzo, col mio cappello-ombrello, il foulard, la merenda dei miei ‘Romolo e Remo’. Una famiglia-tipo, felice, spassionata, giovanile. Guardare il mare con Felice e i bambini, indicare la prima vela che colpisce l’occhio, intridersi delle brezze saline e delle essenze dei giardini. Inseguire vanesse e macaoni, cullarsi in eterno sull’altalena, catturare lucertole, riconoscere fringuelli e cinciallegre. Poi scendere giù lungo la mulattiera stretta tra macere e sterpaglie per sboccare alla spiaggia scossa dal grecale. Io e Felice, romantica e romantico.
  
 
***
 
 
   Sicuro che Felice sia veramente cattolico?
   Un giorno che ascoltava una trasmissione alla radio, mi è parso propenso all’uso del saluto romano che ha molto più di militaresco che di cristiano. Lui non approva del tutto questa mia iscrizione all’Azione Cattolica. Io credo in questa decisione e in questi ideali di solidarietà. Anche perché, caro Felice, ho l’impressione che il mondo voglia andare verso qualcosa di strano, qualcosa di molto pericoloso. Guarda l’Austria e quell’Hitler che ha una fame insaziabile.
   In fondo a quella tranquillità, a quei sentimenti romantici, ho il sospetto che Felice nasconda un’anima da ’Feroce Saladino’. Io la ‘Bella Sulamita’ e lui il ‘Feroce Saladino’? Usa profumi, incantesimi, gentili promesse. Può cambiare e anch’io posso cambiare. Ma il gioco va fatto, la scommessa va tentata.
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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