Tor(l)ino, un foto-racconto
parole e immagini di sarah panatta
Teatro regale, allestita enfasi di poligoni spezzati. Cromie
tabù nella digressione mattonata dei primi edifici. Pura estensione frontale.
I
portici in stazione escludono sovrapposti l’orizzonte fumoso. Varchi avvolti ponteggi
e abbanchi un piccolo autobus, bagnato di piogge instabili. Se non è il 4 sarà
il 51, o viceversa. Non c’è verso. Segui la meta con il corpo, abbandonato
spettro vicino a passeggeri cortesi. E impari la traiettoria senza curve,
traccia di condivisioni temporali, mimetico stallo di un’architettura di poteri
immoti. Devi abituarti alla veduta angolare e al miraggio di un percorso
squadrato, perenne ritorno. Dal ventre alle braccia, gomiti gomitoli, periferie
come accrescimenti dimenticati in un passato prossimo e specchiato.
Quartiere arabo,
un sabato sera annegato nelle omissioni dell’asfalto cedevole. Serrande
ammiccanti e pronte alla chiusura, profumi troppo caldi infusi nella bruma di
un maggio che sapevi contorsione di erotismi adulatori e già fuggiti. Arrendi,
ti arrendi, stendendo i piedi su un materasso corto e respingente spogli il
sonno delle sue virtù. La mattina è pasticceria cremosa, premio facile, e maratona
verso il centro. Annaspi, dritta all’estasi verticale del futuro consumabile. Sfiori
la Mole, con catture sfocate, reti per rare elargizioni di luce.
Appesa alla tua
fida macchinetta a buon mercato balbetti scatti, scatti nell’oltre che
ovviamente non possiedi. Dentro la cuspide di tendini e vuoto, sepolcro vigile,
il museo del cinema e il nodo febbrile del tuo viaggio. Infantile sfogo, arpeggi
sospiri lenti assorbendo le ombre del teatro delle figure proiettato nell’atrio
triangolare. La brama ancestrale di auto riproduzione, di prometeica
vivificazione tradita/tradotta nell’illusione del movimento bidimensionale. Macchine
analogiche aderenti a formule esoteriche, pre cinema come algebra miracolosa di
un al di là fecondo. Il cinema estroversione di raggi, immagine di immagini,
dallo schermo alla teca alla foto-grafia. Dal poster che santifica leggenda al
copione che ricalca, cavalca, sfida, avido e coraggioso, il terrore della
morte. Elevando l’immaginazione a forza. Mentre Alien ammicca fosforescenti
morsi di formaldeide, amore fanta-scientifico scivola nella sala delle lettere
private, note di autor perdute. Ego frullati e ricomposti nella chiocciola
della Mole. Trucchi del mestiere e ascensori per panoramiche mentali indotte. Irriducibile
splendore di abisso nell’umana guerriglia tra ragione e sentimenti.
Vertigo che
non vuoi lasciare, la Mole vomita nolente i suoi visitors, nella plaga del sole
appena accelerato dal pomeriggio levante. Non puoi tornare dal limbo dei tuoi
sogni.
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Non vuoi capire perché, ma il 4 o il 51 o entrambe ti riporteranno a
quel letto sfatto e dominerai ancora topografie consunte da post-apocalittica
incuria. Domani. A est, tra Berlino bellica e Prenestine che ironizzano sulla
segnaletica assente. Sulla carta dei territori sempre eguali e sempre ambigui,
Torino, “giri a destra, poi a sinistra, di nuovo a destra, ma è meglio se
chiede…nè”…Né. Un saluto dai binari, a questi tempi moderni.
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