di Sarah Panatta
Perso e ritrovato tra i sedimenti di
catastrofi minime o gigantesche. Va, e basta. Non è egoista, è uomo e desidera,
ancora (si) immagina.
Mentre la torre di controllo vaga e
non risponde, nello spazio vincolato dell’oggi, solo uno scuro riflesso
terreno, racconta di lui. Passeggero della periferia, chitarra tra le dita,
dita su tastiere asettiche, voce palpitante dentro flussi matematici, grumo di sogni
scomposti tra ricci inevitabilmente ammutinati all’ordine. Contratto nei soliti
ricordi, contatto sfasato di turbe personali e di incomprensioni altrui.
E’ il personaggio tipo scritto da
Spike Jonze come dai fratelli Joel e Ethan Coen, mai embedded e sempre sopra le
righe. Qualcuno lo definirebbe flaneur, o poeta maledetto (senza cappotto e
oberato di idee senza portfolio, bamboccione emotivo che non ha residenza nella
meccanica mercantile del mondo). Ma appaiono ancor più come grotteschi sovrani
senza terra del nostro secolo di vampiri e di sabotaggi petroliferi. Sono i
protagonisti di capolavori felpati e lungimiranti quali Her (regia di Spike Jonze) e A
proposito di Davis (regia dei fratelli Coen).
Il primo ha sorvolato in anteprima il
Festival del Cinema di Roma 2013, il secondo ha viaggiato nelle sale ammantato
da un’etichetta di inautentico biopic folk che ne ha travisato il senso
odissaico profondo e ultra-joyciano. Entrambe approdati all’anonimato, in
fretta. La sfolgorante notte sorrentiniana degli Oscar, celebrazione del genio
pubblicitario e della compravendita dei sogni, ha incensato non solo la
nostrana splendida cartolina (La Grande
Bellezza, ormai o già, cittadina onoraria e itinerario turistico sul
portale della Capitale) e premiato come miglior film il polpettone ambizioso e
autoreferenziale,, certo obamiano del pur bravo Steve McQueen (12 anni schiavo). Ma ha soprattutto
ignorato il film dei fratelli Coen, mai arrivato neppure alle candidature. E
affibbiato un contentino silenzioso allo straziante film di Jonze, apologo mai
retorico sull’amore ai tempi del cosmo 3.0, Her,
attualmente in sala con un doppiaggio che devasta il senso dell’opera.
Se ciò che conta non è uno statuetta
ma le sue conseguenze, ovvero il riscontro il sala e l’interesse del pubblico, Her e A proposito di Davis non ne godranno. Cerebrali eppure trascinanti
piccoli racconti invisibili sull’invisibile tiepida vita sotto i mattoni del
presente asfissiato. Due eccellenti protagonisti mascherati da inetti
intelligenti e troppo gentili, precognitivi sconfitti, con naturalezza
sorprendente, Joaquin Phoenix e Oscar Isaac, tra i migliori della loro
generazione.
Due film che vanno ricordati,
studiati, perché mettono in discussione la nostra società con la grazia
maestosa e inappuntabile, anche se non tronfia, dei classici. Due film che
faranno comunque storia della Storia.
Due invisibili. Non per tutti. Fare
thee well, men.
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