mercoledì 2 aprile 2014

(Esca) Intervista: Mimmo Cuticchio

Mimmo Cuticchio: il Maestro e i suoi "pupi"


intervista di Adriana Pedone, giornalista





 A Palermo in via Bara all'Olivella si trova il teatro dell'Opera dei Pupi. Il maestro Mimmo Cuticchio è il discendente di una dinastia di pupari, lavora in un mondo speciale. Sono fra gli ultimi pupari rimasti a Palermo; diciamo che con strenua lotta cercano di mantenere viva una tradizione culturale che altrimenti andrebbe perduta. Adriana Pedone



A.P. Maestro, incominciamo la nostra intervista con un poco di storia di famiglia.

M. Cuticchio: Giacomo Cuticchio ha avuto sette figli, quattro figlie e tre figli maschi di cui io sono il primo e mi chiamo Mimmo. Mio padre andava in giro per la Sicilia con il suo teatrino dei pupi in special modo nella parte occidentale dell'isola. Si spostava perché era un camminante, un girovago. Il teatrino dei Pupi era un uccello che volava sempre, un uccello migratorio che posava il suo nido, ovverossia metteva il suo nido per una stagione; nei paesi di mare si sostava tutto l'inverno poiché i pescatori non scendevano a mare, poi quando incominciava la primavera, il bel tempo e nelle nottate loro tornavano al lavoro mio padre si spostava nei paesi dell'interno, in montagna e nelle città. Si spostava continuamente.

A. P. : cosa si portava dietro.

M. C. : Tutto. Tutto il mestiere. Per noi pupari il mestiere significa: teatrino smontabile, che ai tempi si faceva piantato con i chiodi, le panche, i fondali, i pupi, un paggio, pupi armati, animali, teste di ricambio, tutto; tutto questo si chiamava "mestiere". Poi dove si portava appresso il mestiere si affittava un "malaseno", un grande deposito che spesso era un fienile o una ex stalla. Si montava, "si allestiva", un teatrino ed occorrevano quindici giorni perché tutto fosse pronto in un teatrino piantato con i chiodi. Il cartellone si appendeva in piazza per fare sapere al pubblico che ci sarebbe stato spettacolo, e questa era l'unica pubblicità che ci si permetteva. ma quando si incominciava anche i paesi limitrofi, campagne e villaggi sapevano dell'arrivo dei pupari.
In questo teatrino vi era anche la casa del puparo, i magazzini erano grandissimi, e dietro il teatrino si lasciava sempre uno spazio dove la sera si preparavano i letti con gli ormai famosi "tavole e trìspiti" che si levavano di giorno e si montavano la sera; le panche si giravano, le spalliere diventavano la protezione perché i bambini, dormendo, non cadessero. Mia madre metteva i materassi sopra le panche, noi maschietti ci coricavamo sulle panche, le mie sorelline si mettevano a dormire sul palcoscenico fra le quinte. Mio padre alzava da dietro l'ultimo fondale e così potevano, i miei genitori, controllare che il sonno dei figli fosse tranquillo.

A. P. : C'era unione e controllo costante in famiglia, nel lavoro e nella vita.

M. C. : Casa, teatro, uomini e pupi, bambini, bambini figli di pupari e bambini figli di pupi eravamo sempre insieme, il giorno e la notte. Sempre insieme.

A. P. : Chi era il protagonista principale di questo teatro.

M. C. : La vera protagonista era la fantasia di tutti. Perché l'opera dei pupi è un mestiere artistico oltre che artigianale. C'è l'arte della voce, le voci etnico-cavalleresche, il puparo che per tradizione deve fare sia le voci maschili che quelle femminili. Il puparo che si fa quaranta voci
Tutto da solo. C'è l'arte della manualità del muovere la marionetta, dei fili, del muovere le scene nei fondali, di suonare il pianino, di aggiustarlo e di accordarlo, è in tutto ciò un mestiere artigianale. Anticamente c'erano tanti collaboratori come intagliatori, scultori, stagnini, fabbri, sbalzatori di metalli che lavoravano per il teatrino ma il puparo doveva saper fare di tutto, doveva conoscere tutte le parti per potere gestire la propria attività, altrimenti sarebbe diventato schiavo di ciò che facevano gli altri.

A. P. : Suo padre non c'è più, voi fratelli avete continuato, possiamo dire con grande passione, questa tradizione. Anche i suoi figli pare prendano parte in questo suo lavoro.

M. C. : Bisogna nascerci, dentro questo mondo. Lei prima lo ha giustamente definito un mondo speciale. Sì, oggi forse sembra un'utopia, che possa ancora esistere, una specie di dinosauro vivente; d'altronde è per questo che io sono così appassionato. Io a quarantasette anni sembro ancora un bambino, quel bambino che ha gioito dentro il teatrino, che è stato dietro le quinte, che ha suonato il pianino per tutta l'infanzia, quello che ha visto il padre come un grande mago che muoveva tutti i fili degli uomini-pupi.

A. P. : Suo padre era grande anche fisicamente, io lo ricordo molto bene al lavoro, la sua voce tonante, l'urlo, il lamento. Dava emozione.

M. C. : Talmente ce l'hai dentro questa passione, nel sangue, che poi da grande questo bambino non lo puoi più abbandonare, e i figli vedranno sempre nel padre anche un padre bambino, compagno di giuoco e continueranno come lui, cosicché quando un bambino arriva intorno ai dieci anni è pronto per questo mestiere.

A. P. : Però si può imparare anche dopo.

M. C. : Ragazzi che sono venuti a frequentare il teatro hanno imparato. Calogero aveva sedici anni quando ha incominciato ed è venuto con me, adesso ha trent'anni ed ha imparato bene a muovere i pupi; però Enzuccio che è venuto da me a quattro anni ha imparato prima ed è più bravo di Calogero, è un bambino del quartiere che frequentava il teatrino, gli facevo suonare il pianino e lui per come stanno facendo adesso i miei figli si appassionava e pur non essendo Cuticchio, sa fare il puparo.

A. P. : Voi vi occupate della manutenzione del materiale. Vi costruite anche i pupi, la manutenzione credo sia una cosa delicata. Nel laboratorio si vedono un'infinità di pupi, teste, braccia, vestiti e pupi interi di grande bellezza e armonia estetica. Alcuni dei quali so che sono molto antichi.

M. C. : Usiamo i pupi dell'ottocento, quelli del novecento, quelli degli anni cinquanta e quelli costruiti da noi.

A. P. : Qual è l'origine dell'opera dei pupi? Alcuni studiosi dicono che attraverso la tradizione orale che vi tramandate di padre in figlio il pupo armato pare sia nato all'inizio dell'ottocento a Palermo. Cosa vuol dire pupo armato?

M. C. : Il pupo armato è una marionetta speciale che invece di avere sopra una specie di croce che tiene i fili, ha una bacchetta di ferro che lo regge. Questo tipo di pupo da noi si chiama
Cosi perché ha una sua staticità speciale, quella che hanno anche i nostri pupi di zucchero, quelli che si regalavano ai bambini, i cosiddetti "pupi a cena" o i pupiddi di pane.

A. P. : la staticità del pupo armato e la sua ieraticità ricorda quella solenne e grave dei guerrieri quattrocenteschi dipinti da Piero della Francesca nella battaqlia di Eraclio e Cosroe ad Arezzo nella chiesa di San Francesco.

M. C. : Così come descriveva Pitrè e come ci raccontiamo fra noi, le marionette sono state trasformate da queste bacchette di ferro. Diventano la personificazione dei racconti di sola voce dei cantastorie ambulanti dei vicoli e dei giardini; i cantastorie erano gli storici popolari e fantasiosi delle vicende epico-cavalleresche e raccontavano lunghi cicli a puntate, a memoria, senza nessun altro elemento se non quello di una spada, che serviva da bacchetta e per scaricare la tensione. Dai cantastorie pare venga il nostro teatro, sotto i Borboni pare alcuni siano stati perseguitati dalla polizia per cui dovevano rinnovare anche le loro storie che spesso, in apparenza erano storie cavalleresche, ma in realtà aizzavano gli animi alla ribellione. Nella lotta dei saraceni contro i cristiani si nascondeva la voglia del siciliano di scacciare gli oppressori. I pupari andavano a osservare gli affreschi e i dipinti dei grandi palazzi palermitani e delle grandi ville private, ne ricavavano degli schizzi e da questi modelli nacquero i paladini. L'errore consisteva nel non cercare filologicamente la storia e i costumi, il puparo voleva soltanto che i suoi personaggi fossero belli e decorativi nelle loro armature, trovavano più belle le figure rinascimentali perché più armate, avevano elmi e lance e potevano diventare ciò che poi sono diventati, cioè marionette artigianalmente bellissime e perfezionate.
Devo dire che dopo il 1960 i pupi effettivamente sono stati più decorati, ma i più belli sono quelli dell'ultimo trentennio dell'ottocento, in cui si facevano pupi che erano bellissimi, con pochi orpelli ma con occhi di porcellana che erano gli stessi che si usavano per le figure dei santi. Ne ho alcuni nel mio teatro. Mastro Cola Pirrotta e don Carmelo di Girolamo poi sono stati famosi costruttori pupari, negli anni '20 e '30 del '900 facevano pupi molto belli e ricchi, erano arrivati al massimo dello splendore di questo artigianato, anche se oggi li troviamo un po' barocchi. Il più noto ed estroso puparo pare che fosse Canino, nei primi dell'800, pare siano stati proprio loro a portare per primi il pianino dentro il teatro; molto noti nella storia sono stati anche quelli della famiglia Greco che arrivò da Napoli a Palermo e pare fosse originaria dalla Spagna.

A. P. : Maestro Cuticchio, anticamente, prima del pianino, a fare musica c'erano i musicanti.

M. C. : All'inizio dell'800, quando si incominciarono a rappresentare le vicende che prima erano raccontate soltanto dai cantastorie, bisognava adattarvi delle musiche, ed allora si utilizzavano i suonatori, in genere tre persone che suonando chitarra, violino e mandolino accompagnavano la scena. A seconda dell'azione essi stessi si inventavano le musiche, battaglie, galoppo, marce reali... e quando si abbassava il siparietto era un crescendo.
I teatrinari, come ho già detto, sono stati oggetto di controlli molto stretti, non potevano riunirsi oltre un certo numero di persone perché le varie polizie li consideravano spesso polo di aggregazione protestataria, perfino i loro carichi venivano perquisiti alla ricerca di armi nascoste. Proprio nel tentativo di avere meno gente appresso, pare che Canino abbia introdotto il pianino nello spettacolo. A Palermo si costruivano pianini, come a Napoli, Novara e Varese con inserite le musiche dei suonatori, così anche i pianini ebbero battaglie, marce e galoppi.

A. P. : Ancora oggi le musiche sono quelle originali e struggenti dei primi dell'800
M. C. : Sì, all'inizio per ogni musica si cambiava il cilindro, in seguito si fecero cilindri che contenevano fino a dieci sonate. che incominciavano prima dello spettacolo; la gente si comprava calia e simenza e mangiando si godeva lo spettacolo.

A. P. : Questa bella storia, cosa è diventata nei nostri tempi, come si gestisce oggi un teatrino.

M. C. : Nel passato si è conservato di più. Gli amministratori siciliani non sono capaci di capire che sì, i tempi mutano, ma il teatro dei pupi potrebbe essere il padre del teatro siciliano moderno; è un teatro che ancora vive di padre in figlio ma la tradizione è una cosa che deve continuare, non è un museo. Si dice di padre in figlio. Questa è la tradizione.

A. P. : Credo di capire che c'è qualche resistenza da parte degli amministratori di Palermo a darvi qualche spazio in più e qualche incentivo economico, qualche valorizzazione, per lo sforzo titanico di fare tutto da soli.

M. C. : Ma sa, forse per questo siamo ancora operativi, perché siamo indipendenti. Tutti i miei compagni pupari sono scomparsi dalla scena. Fino dopo la guerra c'erano a Palermo e provincia fino a 25 teatrini. Uno per volta hanno dovuto smettere. Siamo rimasti solo una famiglia ed essendo numerosi riusciamo più teatrini in giro. Ma siamo pur sempre soli e questo è brutto, non è né democratico né culturale. Sa qual è la verità? Questi amministratori sono persone che non riescono a vivere il quotidiano della loro città, non riescono a scendere nei vicoli ed a sapere cosa la gente dice. Questa è la loro politica...

A. P. : Diciamo senza memoria.

M. C. : Senza memoria di nulla. L'azienda del turismo spende molto per fare la pubblicità dei pupi ma i turisti arrivano in città e i pupi non ci sono più; se chiudiamo anche noi potranno risparmiarsi la pubblicità...Vorrei però precisare che io non voglio soldi, elemosina, non è questo: noi chiediamo che questi signori non dimentichino che l'opera dei pupi è teatro popolare, minore, di piccole dimensioni ma che adesso viene studiato, riconosciuto in campo internazionale. Teatro antico, non vecchio. Intanto che venissero a vedere qualche spettacolo per potere capire. Vengono personalità straniere politiche e della cultura, come felici spettatori, e dei nostri assessori neanche l'ombra. Noi vorremmo che ci portassero i ragazzi delle scuole, qualche aiuto per i manifesti, più informazione sul nostro laboratorio per continuare a insegnare la nostra arte.


In questo momento ho un problema, dobbiamo andare in tourné con un furgone che ha fatto 30mila Km. Si figuri andare fino in Germania con questo spavento che il furgone ci lasci per strada da un momento all'altro. Per non potere comprare un furgone nuovo che costa 40 milioni, rischio di bloccare il lavoro. Sono come un pezzente che arriva con la valigia di cartone. Se non vogliono che questo patrimonio culturale nazionale vada perduto devono darci più attenzione, prima che siamo costretti a smantellare tutto, e per rabbia a vendere anche i pupi.

Quando io ero bambino il pubblico era quasi tutto analfabeta, però tutti sapevano che esisteva una città: Parigi di Francia! E ai pupi sentivano raccontare di viaggi in Asia, in India, potevano sognare con poco.




A. P. Da qualche anno lei prova ad innovare il suo teatro e sperimenta nuove forme espressive anche in grandi teatri, con nuove opere concepite in parte da lei stesso. Pensa che si potrebbe raccontate attraverso l'opera dei pupi la Sicilia di adesso?

M. C. Tutto si può raccontare ma se si è soli nessuno ascolta. In ogni modo, dobbiamo avere un occhio al passato, sempre, per andare verso il futuro.



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