mercoledì 2 aprile 2014

(Esca) Recensione: Ignazio Apolloni

A proposito di Davis


Il film visto da Ignazio Apolloni
(pubblichiamo la recensione da www.ecodeimonti.it)









Si direbbe C’era una volta, non fosse che sempre più spesso l’incipit ricorra per quest’ultima generazione di sbandati e scontenti, senza ideali e senza terra (per dirla con il noto Giovanni Senza Terra) sotto i piedi e in fondo all’animo. Eppure il fenomeno folk music non nacque come fuga dalla realtà ma semmai come forma di arricchimento del vissuto affinché l’arte avesse uno span sempre più ampio. Il genere di musica impregnò di sé le nuove correnti di improvvisatori e musicisti americani, più sensibili all’evasione da una civiltà ossessionata dal profitto (il milione di copie di dischi venduti) che non fatta di estimatori e relativi fans europei.


Qui non c’era un ovest da esplorare; uno spazio in cui annegare la nostalgia e talvolta l’angoscia; un miraggio cui puntare per sottrarsi all’asfissia, bensì un perenne tentare di recuperare la grandeur filarmonica composta di musica e miti, archeologia e filosofie orientali e mediorientali.


Mondi dunque, i due, così lontani da non avere alcuna possibilità di amalgamarsi: semmai, e piuttosto, di accostarsi per epitelio, per quindi rinserrarsi nelle proprie prigioni esistenziali. Sorprende perciò l’eco suscitata dall’arrivo nelle sale cinematografiche italiane di A proposito di Davis, un film dei fratelli Coen, candidato a due Oscar, dichiarato Miglior film dell’anno dalla National Society of Critics, interprete Oscar Isaac, nonché pubblicizzato come caratterizzato da Un livello di perfezione senza precedenti o più semplicemente Elegante e raffinato.



In verità, quale coprotagonista c’è anche un mansueto gatto mammone: occhi vispi, sguardo ammaliante per chi sia portato all’attualismo animalistico più esasperato. Nell’ombra tuttavia cova il rancore di un passato ormai detronizzato epperò dominato dal revanchismo: la volontà di riprendersi ciò che gli è stato tolto quasi fosse un diritto inalienabile, irrinunciabile, eterno. Riaffiorano perciò gli occhi e l’ombra del passato, sia all’inizio che alla fine della proiezione sotto forma di volontà di distruggere l’altro; ritornare ad essere egemonico: insomma il volto della dittatura sottile e inafferrabile del Pensiero unico ad ogni costo, costi quel che costi.



E quel che costi ormai non è altro che il piattume di una esistenza anonima, non ci fosse una ribellione; una resistenza al tentativo costante del capitalismo all’omologazione, il rappelle à l’ordre: sistematicamente e subdolamente lanciato al mercato degli utenti sotto forma di immagini pubblicitarie, sottilmente accattivanti.



Degno comunque, il film, quantomeno di un Oscar per la fotografia e una qualche forma di riconoscimento a Oscar Isaac per l’interpretazione: né escluderei un premio al gatto color biondo miele e perciò un tantino edulcorato. Da vedere, ad ogni modo, per non dimenticare il come eravamo e per sentire il bisogno di uscire dall’impasse, se non dal baratro esistenziale e psicologico in cui l’Occidente è precipitato.


Scritto da Ignazio Apolloni



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