D'UN DIO
di Edoardo Olmi
Dioniso che m'incanta
e che mi tramortisce
lo rivedo in mille storie
che non so -
se lo cerco in questo angolo di casa
lui mi sfugge e lo ritrovo in una piazza
in
un'auto o in un locale -
che mi schiaccia e che mi sbatte in faccia
la sua stirpe più estasiata in libertà
perso dietro ad un'ebrea iridescente
ad un tratto credo invece di afferrarlo
- già sbronzetto come ero per lo più -
lui si volta ed è un ragazzo: greco
parte presto, per tornarsene laggiù.
la città sembrava atavica in quei giorni
non c'era niente che si potesse fare;
sarà stato il cambio della guardia forse
proprio quando il volgo, se ne andava al mare.
indossavo i miei problemi per uscire
mischiando ad ogni sera un po' d'insonnia,
pesando i passi della solitudine
giravo per le vie sbagliando strada
pensai allora che avrei potuto offrirgli
non un capro ma una turgida bestemmia -
per spezzarne il sortilegio con un soffio.
d'altra parte quattro stupri
a lavoro in quell'albergo
mi rapiron poi il sonno messi
uno dopo l'altro.
sprofondavo in due poltrone
sotto il peso dei miei guai
quand'ecco che mi suona il
campanello ed è una
perla nera un po' ubriaca:
dice che mi aspetta su..
Dioniso che m'incanta
adesso mi rapisce
per portarmi in quelle storie
che ora so -
se il pericolo è di un licenziamento
io gli chiedo di allungarmi un po' la notte;
le sue labbra sono come la morfina.
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