I corpi e il "campo" secondo Aureliano Amadei
L’esperimento ultra-scenico del giovane regista con i ragazzi dell’Accademia
Cassiopea di Roma
Di Sarah Panatta
Dentro e fuori dal “campo”. Il corpo
esiste e si annulla nel recinto del buio. Il “buio” si fa, respira, emerge
attraverso il corpo.
Il campo, dove nasce e muore in un
unico battito/presa/“quadro” l’azione, la vita emulata, rappresentata,
ingannata. Dove il corpo diventa insieme mente e atto. Un gruppo di studenti,
un palco che può diventare invisibilmente strada, specchio, bosco, incubo, spiaggia,
processo, casa, bara, automobile, antro puramente cerebrale, inferno. O
semplicemente palco. Quattro telecamere, quattro luci. Coppie di attori come
grumi di materia calda, sparsi su una superficie neutra/buco nero/pa(e)ssaggio
mentale. Uomini e donne bloccati in una singola notte, replicano un gioco al
massacro, un’ultima possessione o illusione, sulle note dell’emblematica, nervosa
Kim, del rapper Eminem. Un esperimento
interattivo ardito, tra cinema, spazi interpretativi, capacità attoriali e
forme di improvvisazione finzionale. Dietro le macchine con Aureliano Amadei.
Conosciuto e premiato per i lungometraggi
20 sigarette (2010) e Il Leone di Orvieto (2013), e per il
lavoro teatrale L’arma (2013), Amadei
è un regista giovane, testardo, visibilmente animato da un desiderio di
sperimentazione, una spinta probabilmente ontologica, prima che creativa, che
necessita l’elasticità di un contesto produttivo invece paludoso e ostile. Un
autore alle prese con le complessità proprie e del mondo, che accetta le realtà
come conflittuale e ambigua e per questo vuole analizzarla con la propria arte
dichiaratamente militante, civica. Un autore che nonostante le esperienze “estere”
continua a scrivere e dirigere in Italia, cercando la via della seta
direttamente nel Paese natale.
Paese in cui la “grande” produzione
cinematografica è diventata autoreferenziale monopolio e dove si trasforma in
oltraggio e in rischio la determinazione a crescere un progetto indipendente
nelle idee ed eterodosso nei contenuti – che scantoni dal gracchiato
turpiloquio afilmico del 90% del cinema italiano, cinepanettone in formaldeide ormai
riciclato, digerito e rivomitato nei dodici mesi, con surplus di commedie prive
di script, enormi palesi contenitori pubblicitari. Nel cinema catena di
montaggio multinazionale, menti visionarie e fertili come quella di Aureliano
Amadei hanno bisogno di attecchire ed esplorare in territori ancora non
colonizzati dalla furia molesta del mainstream
che tutto appiana e logora. In questa condivisibile ansia di libertà e di
invenzione si inserisce e si dipana il lavoro di Amadei con gli allievi dell’Accademia
Cassiopea di Roma, nella quale Amadei insegna recitazione cinematografica. Ci
siamo infiltrati in esclusiva amichevole per osservare Amadei all’opera, come
insegnante e non solo.
Educare ragazzi sulla soglia del
professionismo attoriale, a muoversi e muovere l’azione nello spazio scenico,
che si modifica con loro. Ad agire un racconto seguendo fermamente le tecniche
acquisite ma lacerando le inibizioni, violando la bidimensionalità teatrale,
assorbendo e dominando l’ottica del “campo”. Lasciarli abituare con tutta la
naturalezza possibile alla tridimensionalità di un “palco” che a telecamera
accesa diviene “campo”, universo geometrico di riproducibilità scenica,
spazio-tempo di una storia in sé chiusa eppure espansa. La telecamera si offre
e taglia, (co)stringe, supera o aspetta, l’attore/personaggio la cerca,
suscita, vince, perde, recupera. Il senso dell’azione e della storia vibra, cambia,
migra da un campo all’altro, da un’inquadratura all’altra. Una missione
multipla quella prefissata da Amadei.
Che in una prima fase ha fatto
esercitare la sua classe sulla drammaturgia del testo di Eminem, piccola pièce tripartita,
già pronta da riconvertire e abitare. Un lavoro individuale, poi di coppia,
quindi collettivo. Imparando la canzone e figurandone la vicenda, cruenta e
convulsa, quindi divisi in coppie, i ragazzi si sono trovati ad addomesticare
il sincro dei versi aspri del rapper alla propria visione di quella lite
furibonda e tragica tra un uomo tradito e la “sua” donna. Memorizzazione,
immedesimazione cronometrica, misurazione dello spazio scenico, e contestuale
deragliamento dei sensi, esplosione, occupazione di quello che si spezzerà in
un plurimo campo, rivissuto da più coppie in simultanea. L’elemento
cinematografico irrompe nella seconda fase del lavoro. Quattro telecamere si
spostano, in una danza non casuale, da una coppia all’altra, focalizzando
istanti distinti e diversi dell’azione. Ecco che la finzione è vita non quando
il sipario si apre/chiude su di essa, bensì solo quando la telecamera definisce
il campo e gli interpreti lo delimitano, agitano, prendono e fuggono.
Le telecamere aprono un varco, in
medias res incontrano i corpi attoriali e insieme si incantano, in provvisoria
sintesi, dialogo, combattimento. I corpi devono aggrapparsi alla luce o in essa
smarrirsi, comprendersi e plasmarsi. Sentirsi e sentire la tridimensionalità. Dentro
e fuori il campo.
Terza fase sarà il cortometraggio
sperimentale, in queste ore al montaggio, che vedrà protagonisti quei corpi, e
quelle inquadrature. Dramma e insieme videoclip musicale, puzzle ricomposto e
ultracorpo che vive della propria deflagrazione e resurrezione.
Questioni di campo.
CAST E CREW
Idea e regia Aureliano Amadei
Con gli studenti dell'Accademia Cassiopea, II e III anno
Riprese Aureliano Amadei, Giuliana Fantoni, Iolanda La Carrubba
Direzione della fotografia Luca Ranzato
Luci Adriano Amadei, Paolo Amadei, Sarah Panatta
CAST E CREW
Idea e regia Aureliano Amadei
Con gli studenti dell'Accademia Cassiopea, II e III anno
Riprese Aureliano Amadei, Giuliana Fantoni, Iolanda La Carrubba
Direzione della fotografia Luca Ranzato
Luci Adriano Amadei, Paolo Amadei, Sarah Panatta
http://www.cassiopeateatro.org/
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