sabato 1 marzo 2014

(Esca) Anteprima: Aureliano Amadei


I corpi e il "campo" secondo Aureliano Amadei

L’esperimento ultra-scenico del giovane regista con i ragazzi dell’Accademia Cassiopea di Roma

 

Di Sarah Panatta

 

Dentro e fuori dal “campo”. Il corpo esiste e si annulla nel recinto del buio. Il “buio” si fa, respira, emerge attraverso il corpo.

Il campo, dove nasce e muore in un unico battito/presa/“quadro” l’azione, la vita emulata, rappresentata, ingannata. Dove il corpo diventa insieme mente e atto. Un gruppo di studenti, un palco che può diventare invisibilmente strada, specchio, bosco, incubo, spiaggia, processo, casa, bara, automobile, antro puramente cerebrale, inferno. O semplicemente palco. Quattro telecamere, quattro luci. Coppie di attori come grumi di materia calda, sparsi su una superficie neutra/buco nero/pa(e)ssaggio mentale. Uomini e donne bloccati in una singola notte, replicano un gioco al massacro, un’ultima possessione o illusione, sulle note dell’emblematica, nervosa Kim, del rapper Eminem. Un esperimento interattivo ardito, tra cinema, spazi interpretativi, capacità attoriali e forme di improvvisazione finzionale. Dietro le macchine con Aureliano Amadei.

Conosciuto e premiato per i lungometraggi 20 sigarette (2010) e Il Leone di Orvieto (2013), e per il lavoro teatrale L’arma (2013), Amadei è un regista giovane, testardo, visibilmente animato da un desiderio di sperimentazione, una spinta probabilmente ontologica, prima che creativa, che necessita l’elasticità di un contesto produttivo invece paludoso e ostile. Un autore alle prese con le complessità proprie e del mondo, che accetta le realtà come conflittuale e ambigua e per questo vuole analizzarla con la propria arte dichiaratamente militante, civica. Un autore che nonostante le esperienze “estere” continua a scrivere e dirigere in Italia, cercando la via della seta direttamente nel Paese natale.

Paese in cui la “grande” produzione cinematografica è diventata autoreferenziale monopolio e dove si trasforma in oltraggio e in rischio la determinazione a crescere un progetto indipendente nelle idee ed eterodosso nei contenuti – che scantoni dal gracchiato turpiloquio afilmico del 90% del cinema italiano, cinepanettone in formaldeide ormai riciclato, digerito e rivomitato nei dodici mesi, con surplus di commedie prive di script, enormi palesi contenitori pubblicitari. Nel cinema catena di montaggio multinazionale, menti visionarie e fertili come quella di Aureliano Amadei hanno bisogno di attecchire ed esplorare in territori ancora non colonizzati dalla furia molesta del mainstream che tutto appiana e logora. In questa condivisibile ansia di libertà e di invenzione si inserisce e si dipana il lavoro di Amadei con gli allievi dell’Accademia Cassiopea di Roma, nella quale Amadei insegna recitazione cinematografica. Ci siamo infiltrati in esclusiva amichevole per osservare Amadei all’opera, come insegnante e non solo.

Educare ragazzi sulla soglia del professionismo attoriale, a muoversi e muovere l’azione nello spazio scenico, che si modifica con loro. Ad agire un racconto seguendo fermamente le tecniche acquisite ma lacerando le inibizioni, violando la bidimensionalità teatrale, assorbendo e dominando l’ottica del “campo”. Lasciarli abituare con tutta la naturalezza possibile alla tridimensionalità di un “palco” che a telecamera accesa diviene “campo”, universo geometrico di riproducibilità scenica, spazio-tempo di una storia in sé chiusa eppure espansa. La telecamera si offre e taglia, (co)stringe, supera o aspetta, l’attore/personaggio la cerca, suscita, vince, perde, recupera. Il senso dell’azione e della storia vibra, cambia, migra da un campo all’altro, da un’inquadratura all’altra. Una missione multipla quella prefissata da Amadei.

Che in una prima fase ha fatto esercitare la sua classe sulla drammaturgia del testo di Eminem, piccola pièce tripartita, già pronta da riconvertire e abitare. Un lavoro individuale, poi di coppia, quindi collettivo. Imparando la canzone e figurandone la vicenda, cruenta e convulsa, quindi divisi in coppie, i ragazzi si sono trovati ad addomesticare il sincro dei versi aspri del rapper alla propria visione di quella lite furibonda e tragica tra un uomo tradito e la “sua” donna. Memorizzazione, immedesimazione cronometrica, misurazione dello spazio scenico, e contestuale deragliamento dei sensi, esplosione, occupazione di quello che si spezzerà in un plurimo campo, rivissuto da più coppie in simultanea. L’elemento cinematografico irrompe nella seconda fase del lavoro. Quattro telecamere si spostano, in una danza non casuale, da una coppia all’altra, focalizzando istanti distinti e diversi dell’azione. Ecco che la finzione è vita non quando il sipario si apre/chiude su di essa, bensì solo quando la telecamera definisce il campo e gli interpreti lo delimitano, agitano, prendono e fuggono.

Le telecamere aprono un varco, in medias res incontrano i corpi attoriali e insieme si incantano, in provvisoria sintesi, dialogo, combattimento. I corpi devono aggrapparsi alla luce o in essa smarrirsi, comprendersi e plasmarsi. Sentirsi e sentire la tridimensionalità. Dentro e fuori il campo.

Terza fase sarà il cortometraggio sperimentale, in queste ore al montaggio, che vedrà protagonisti quei corpi, e quelle inquadrature. Dramma e insieme videoclip musicale, puzzle ricomposto e ultracorpo che vive della propria deflagrazione e resurrezione.

Questioni di campo.


CAST E CREW


Idea e regia Aureliano Amadei
Con gli studenti dell'Accademia Cassiopea, II e III anno
Riprese Aureliano Amadei, Giuliana Fantoni, Iolanda La Carrubba
Direzione della fotografia Luca Ranzato
Luci Adriano Amadei, Paolo Amadei, Sarah Panatta

 

http://www.cassiopeateatro.org/  

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