venerdì 1 marzo 2013

Vacancy. Cultura e cambiamento...


Cultura, attese e (s)cambiamento, di Alessio Crudeli
Quando si parla di giovani e politica e di giovani e crisi si fa un torto ai giovani perché ci si affanna a ritenere che niente di buono possa uscire dal loro habitat culturale di specie estinta. Si guardi a Giovanni Favia invece, il delfino di Beppe Grillo diventato una “iena” capace di sbranare chi dice, appunto, che i giovani non sanno far nulla. È stato il primo a rompere le fila del Movimento Cinque Stelle, chissà quanti ne seguiranno, tutti giovani e fiduciosi di perseverare in politica.
Anche il sottoscritto sa bene che quando scrive difficilmente riesce a essere quello per cui scrive. Non c’è scampo, l’idealismo è schiacciato dalla realtà. Il problema che emerge, in concomitanza anche delle elezioni “antipolitiche” del 2013, che si spera non valgano quello che sono valse in Grecia, per cui a breve gli italiani saranno chiamati di nuovo a rivotare, è il cambiamento culturale. Non si deve più udire “se ti voto che mi dai?”. Eppure la democrazia e le grandi scelte civili, come ci ricorda il Lincoln di Spielberg (2013), sono sempre state “scambio”: scambio di prebende di voti di dicasteri di società quotate in borsa. La democrazia, come sostiene Massimo Fini, è sempre stata una dittatura mascherata da panacea risolutiva di tutti i mali. Votiamo e risolveremo i dissidi. Peccato che le cose stiano in un altro modo e chi ha fatto studi umanistici (maledetti studi!) sa che l’uomo muta di poco la sua anima politica. Per inaugurare questo blog, quello che bisogna dire e che di tutti i cambiamenti possibili che sembrano agitarsi sotto il cielo confuso della politica, quello culturale rimane il loden, pardon!, il nodo centrale.
La cultura è quanto di più mobile esista. In questi ultimi trent’anni la cultura degli italiani è cambiata drasticamente. Essi non sono più fannulloni e ipocriti, ma borghesi che temono di non poterlo più essere. Quando i giovani si lamentano di non trovare lavoro, si lamentano di sicuro di una mancanza di lavori specifici senza i quali non possono dimostrare di essere borghesi. Diciamocelo pure francamente, nessuno dei giovani disoccupati, specie se laureati, accetta di fare il falegname e il fornaio pur di avere un lavoro. Questa crisi si misura per la prima volta sulla pelle di una generazione cresciuta con la convinzione che non avrebbe mai sofferto, che tutto il lavoro destinatole sarebbe stato proporzionato alle lauree. Di conseguenza il notaio vuole fare il notaio e l’insegnate vuole fare l’insegnante. Teoricamente è giusto, il problema (e lo sto capendo ogni giorno in più che passa) è che se non hai un piano b sei fottuto.
Caspita, qui si rischia davvero l’estinzione! L’uomo, anziché distrutto da un meteorite, come i dinosauri, viene distrutto da una mentalità radicata come una zecca nel pube della ragione. Non sono più convinto, e scusate se scrivo in prima persona, che avere cultura serva a cambiare cultura. Sia pur nella mobilità estesa, la cultura ha senso perché si radicalizza. È da tempo che mi convinco che l’anomalia non è la crisi (tenero eufemismo che nasconde un mutamento storico) ma è stato il trentennio economico dell’uomo che “non deve chiedere mai!”. Neanche fosse stato in gioco acchiappare la più bella ragazza del circolo degli irriducibili intraprendenti, anche se è vero che chi ha potere ha sempre una f… accanto. In tutti questi anni ci siamo giocati senza accorgercene reputazione e cultura, spinti da una fede borghese del successo a riconoscere solo ciò che si possiede.
Non vorrei sembrare eccessivo, specie se leggere un blog significa non farsi raggirare dai raggiri che ci sono anche in rete, perché voglio dire a Iola e Sarah che stimo, che il problema del cambiamento culturale, qui lanciato come esca in questo articolo inaugurativo, è diventato così impellente che ormai è in discussione la coscienza. È in discussione il nostro fare e disfare quotidiano che pungola peggio di un toro il nostro deretano. Solo col tempo, con l’auspicio che l’attesa diventi incandescente per giovani non più disposti a fare da spiedo, solo col tempo si potrà configurare quale tipologia di italiano è in serbo a questo magnifico Paese. La cultura cambia se si avverte l’esigenza di cambiarla e ci vorrà del tempo anche stavolta (nonostante non ci sia più tempo) per capire se sarà cambiata in meglio.
Alessio Crudeli

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